Tai Woffinden. La Superstar dello Speedway
Personaggio complesso, uomo dedito alla famiglia che conduce una vita tranquilla in una vasta tenuta di campagna nel Derbyshire, ma anche uno in cerca di brividi, cresciuto surfando le onde di Perth, in Australia, e che ammette di aver fatto i conti con il fatto che ogni gara potrebbe essere l’ultima. Dice di avere un progetto futuro di aprire una fattoria didattica per bambini ma, nel frattempo, guida una 500cc senza marce, senza freni, intorno agli ovali di terra battuta, a velocità fino a 70 miglia all’ora. E lo fa dannatamente bene. Per chi non lo sapesse, Tai Woffinden è tre volte Campione del Mondo di Speedway e l’unica vera Superstar di questo sport. È amato da molti, odiato da alcuni, ma tutti hanno un’opinione e tutti conoscono il suo nome. Questa è la sua storia.
Nato a Scunthorpe, in Inghilterra, e cresciuto in Australia occidentale, Tai non ha avuto una facile scalata al successo. Mentre alcuni dei più grandi nomi del motorsport si preparavano per la notorietà già in tenera età, il percorso di Woffinden è stato un po’ più insolito.
“Ci siamo trasferiti in Australia quando ero piccolo, ero un bambino abbastanza selvaggio, mi buttavo a fare cose folli che non si dovrebbero fare a quell’età. Ho sempre avuto dentro la necessità di cercare il pericolo e le scariche di adrenalina, e tornavo sempre a casa con tagli e contusioni ed i miei genitori pensavano, ogni volta ‘oh no, non di nuovo!’. Ho iniziato a fare Speedway perché mio padre già lo praticava quando vivevamo in Inghilterra, la sua tecnica di guida era abbastanza buona ma non sarebbe mai diventato il migliore al mondo. Però mi ha insegnato parecchie cose, io ero abbastanza bravo, e sono arrivato al punto in cui ho capito che probabilmente le mie capacità erano abbastanza sviluppate da provare a farla diventare la mia carriera. Non avevamo molti soldi, quindi dovevo scegliere se correre il Campionato Australiano Under 16 o andare in Inghilterra per provare a spaccare il mondo. Mio padre sapeva che avevo la stoffa, quindi mi ha detto semplicemente ‘devi andare in Europa e fare di questo sport il tuo mestiere. Non appena ho compiuto 15 anni, i miei genitori hanno fatto le valigie e dall’Australia siamo tornati a Scunthorpe per provare a farmi diventare un professionista. Abbiamo vissuto in una roulotte perché avevamo investito tutto sulla mia carriera, quindi è stato un grande cambiamento. Un giorno sei sulla spiaggia di Perth e il giorno dopo vivi in una roulotte nella gelida Inghilterra. Quando ero un bambino, il pensiero di trasferirmi in Europa per correre in moto sembrava incredibile, mi suonava molto più divertente che andare in spiaggia ogni giorno. Ora mi rendo conto di averlo fatto abbastanza bene! Oggi, quando torno in Australia, mi rendo conto di quanto fossi fortunato e cerco di godermi ogni minuto. Ma ovviamente non cambierei nulla di ciò che ho fatto, sono solo grato ai miei genitori per essersi sacrificati per me”.
Al di sotto dell’élite dei Grand Prix lo Speedway ha campionati nazionali in tutta Europa a vari livelli ed è stato al livello più basso della British Conference League, che Tai Woffinden ha iniziato a guadagnare con la sua carriera. Dire che fece colpo sarebbe un eufemismo. Il suo impatto fu fenomenale, debuttò nello scenario nazionale come il proverbiale uragano. Ovunque andasse, si parlava di lui sempre di più e dalle tribune si assisteva agli inizi di qualcosa di speciale.
“Una volta che ho iniziato a correre, tutto è diventato piuttosto facile, ovunque andassi vincevo un sacco di gare e dopo ogni piccolo passo che facevo, continuavo. Ho iniziato proprio dal basso ed ho spaccato, poi sono salito in un’altra lega e ho spaccato anche lì, finché non sono arrivato nella Top League ed ho continuato ad accumulare un sacco di punti, pensando fosse tutto facile!Quando tutto ciò che conosci è il successo, se ti trovi davanti qualche intoppo l’impatto è piuttosto forte. Stavo per confrontarmi con degli ostacoli, ma nessuno gode di un’intera carriera vincendo tutto il tempo, solo che quando sei giovane, non lo sai ed in quel momento pensi solo di poter fare qualsiasi cosa. Pensavo di poter continuare a salire ancora più su con le mie vittorie e che nessuno poteva toccarmi, quella era la mia mentalità”.
L’ostacolo inevitabile arrivò nel 2009, quando tutta la vita di Tai, non solo la sua carriera, fu stravolta. Il padre Rob era il personaggio più importante nella sua vita, di grande personalità. Un uomo brillante, onesto e genuino, a cui tutti volevano bene. Era anche il meccanico di Tai, il suo confidente, il suo insegnante, ed il suo più stretto e leale alleato. L’improvvisa diagnosi di un male incurabile, però, colpì duramente il figlio: una stella nascente, di 19 anni, che ora stava affrontando la prospettiva di passare il resto della sua vita senza il padre.
“Non sai mai quanto è grave quella situazione finché non la vivi. È la peggior sensazione, ti senti solo e indifeso, e hai questa bomba a orologeria che incombe. Mio padre era piuttosto pragmatico e sapeva che gli restavano nove mesi da vivere, quindi ci siamo detti, ‘ok, come possiamo sfruttare al meglio questo tempo che rimane?’ È venuto ovunque con me quell’anno, quando poteva. A qualsiasi gara lui era presente, sfruttandola al massimo e trascorrendo del tempo insieme. Eravamo inseparabili ed è stato bello aver avuto tempo insieme e me lo terrò per sempre”.
Rob passa a miglior vita nel 2009 e, pochi mesi dopo, a Tai viene offerto un posto nella serie Speedway Grand Prix. Quattro anni dopo il suo debutto da Pro, gli viene data la possibilità di correre ai più alti livelli di questo sport.
“Prima di andarsene, mio padre mi ha implorato di non accettare il posto nei GP. Mi avevga detto: ‘Tai, per favore, non farlo, è troppo presto e non sei pronto’, ma io pensavo di avere più ragione. Stavo accumulando punti ovunque e pensavo che avrei fatto lo stesso nella serie GP, ma aveva ragione lui. Non ero affatto pronto e odiavo non esserlo. Mi mancava mio padre, non stavo segnando punti nei GP e questo stava influenzando il corso del mio campionato, quindi reagivo facendo festa per non pensarci. Fondamentalmente, sono andato fuori di testa e dopo le gare uscivo e mi distruggevo, quella era diventata la mia vita. Alla fine di quell’anno mi sono trovato di fronte alla scelta di continuare a correre o semplicemente di mettere tutto da parte. Ne avevo fin sopra i capelli, ovunque andassi mi trovavo 50 o 60 persone a dirmi ‘siamo così dispiaciuti per tuo padre’ e non ne potevo più. Non ho nemmeno avuto il tempo di elaborare il lutto perché dopo la sua morte ero entrato direttamente nei GP, quindi, volevo solo tornare in Australia e allontanarmi da tutto. Però, qualcosa in pochi mesi è cambiata. Sono andato da uno psicologo sportivo che mi ha fatto riflettere. Mi piacevano le feste e darmi alla pazza gioia, ma sapevo che se avessi voluto fare carriera, avrei dovuto cambiare stile di vita e calmarmi un po’”.
Il ritorno in scena nella storia di Tai Woffinden è qui. Perde peso, si concentra e riprende l’attività. I punti riprendono a crescere e quando gli viene assegnato un posto nella serie del Campionato del Mondo 2013, questa volta Tai si è fatto trovare pronto. Nessuno, nemmeno lui, sapeva quanto fosse pronto. All’inizio della stagione era tra gli sfavoriti, lontano dal poter vincere il titolo, nessuno avrebbe scommesso nemmeno una sterlina. Era lì per recuperare i numeri, forse sarebbe riuscito a intrufolarsi nella ‘top ten’, ma avrebbe vinto il campionato?
“Ero arrivato a un punto in cui sapevo che avrei potuto farcela di nuovo, ma ci sono stati anche dei momenti in cui ho pensato che stavo per far saltare tutto. Mi sono rotto la clavicola due volte quell’anno, la seconda volta è successo durante il penultimo round e sapevo che se mi fossi arreso, avrei lasciato una possibilità ai miei avversari. Ho semplicemente resistito e provato a continuare a correre, segnando alcuni punti, abbastanza per tenermi in vantaggio, ed è stato allora che ho capito che ce l’avrei fatta. Ricordo di aver detto in TV che l’inno nazionale britannico sarebbe stato ciò che avrei ascoltato alla fine dell’anno: ero molto sicuro di me!Dopo quella gara aono andato dritto dal mio chirurgo e mi ha chiesto: ‘Tra quanto tempo hai la prossima gara?’ Mancavano solo due settimane. Mi disse di legarmelo, stringere i denti, correre l’ultima gara e poi me lo avrebbe messo a posto. Quando mi ha detto così, sapevo che ce l’avrei fatta”.
E Tai ce l’ha fatta. È diventato il primo Campione del Mondo della Gran Bretagna dal 2000 ed ha segnato il suo posto nella storia dello Speedway, generando un’incredibile inversione di tendenza in soli pochi anni. Ma poi cosa succede? Ti culli sugli allori, sapendo di aver scalato la montagna che sembrava impossibile? Ciò che denota i grandi dello sport è la fame. I più grandi atleti – Tiger Woods, Michael Jordan, Valentino Rossi – non sono mai stati soddisfatti di aver vinto una volta sola. Il loro implacabile desiderio di riscrivere i libri dei record è ciò che li ha distinti. Vincere e vincere ancora.
“Anche se non avevo iniziato quella stagione aspettandomi di vincere, non appena ho visto di esserci riuscito, sapevo che avrei potuto farlo di nuovo. Poter dire ‘ah, ce l’ho fatta ora, posso ritirarmi felice’ non era abbastanza. Mi è piaciuto, ma poi volevo farlo di nuovo. La motivazione è semplicemente dentro di me, in tutto ciò che faccio voglio essere il migliore. Letteralmente tutto. Quando guido da qualche parte, o corro da solo, o faccio semplicemente una corsetta, nella mia testa calcolo quanto veloce posso raggiungere un cartello stradale o se posso battere la macchina accanto a me. Quando sono in un aeroporto cerco sempre di superare la gente ai controlli di sicurezza, sono fatto così. Non posso farci niente, voglio solo vincere in ogni cosa faccia. Quindi, quando ho assaporato cosa volesse dire essere il numero uno, sapevo che avrei voluto farlo il maggior numero di volte possibili”.
Non è difficile individuare Tai Woffinden in mezzo alla gente. Potrebbe non essere il più alto, ma si distingue a miglia di distanza. I capelli scuri che una volta possono avere il taglio mullet (“alla tedesca”) e la volta dopo rasati, il sorriso smagliante, i vistosi fori alle orecchie e i tatuaggi che coprono il 75% del suo corpo.
“C’è una storia divertente dietro i miei tatuaggi. Quando avevo 14 anni volevo farmi un tatuaggio, ma i miei genitori mi dissero ‘se andrai bene quando inizierai a correre in Inghilterra potrai fartene uno’, quindi quando avevo 15 anni e stavo iniziando a segnare un sacco di punti, ho potuto fare il primo.P oi un inverno, quando stavo iniziando a farmene diversi e mia madre stava rientrando in Australia, prima che se ne andasse mi ha detto: ‘Tai, per favore, però non fartene né sulle mani né sul collo’. È partita e due settimane dopo le ho mandato una foto delle mie mani e dei miei tatuaggi sul collo. Non era molto felice! Alcuni significano qualcosa, altri no. Ne ho alcuni molto personali, ma molti li ho fatti perché mi piace semplicemente il designo, ma non ho ancora finito. Voglio farmene altri, il problema è che mi manca il tempo. A volte quando trovo un buco nella mia agenda, il mio tatuatore, Ronnie, viene fino a casa mia, che per l’occasione viene trasformata in un piccolo studio di tatuaggi. Il dolore è sopportabile, non mi piace il fatto che impieghino molto tempo. Sono un tipo troppo impaziente! Questo sono io, però. Mi piacciono, ne ho un sacco, e non ci penso troppo”.
Dopo la grande vittoria nel 2013, il profilo di Tai Woffinden è esploso in Gran Bretagna. Tutti volevano un pezzo dell’uomo miracoloso. L’aggiunta a quella vittoria nel 2016 e nel 2018 non ha fatto altro che aumentare ulteriormente la sua fama, ma con più successo arriva anche un’attenzione maggiore. E se conosci Tai, sai che non gli viene facile cucirsi la bocca.
“Avere fama mi piace, ma non significa nulla se non è accompagnata dalle vittorie. Ricevo riconoscimenti perché vinco, le cose vanno di pari passo. Se continuo a vincere il mio personaggio diventerà più famoso e dovrò mordermi la lingua ancora di più! La mia notorietà è fantastica, ma a volte la odio un po’ perché ci sono cose che non posso dire o fare. A volte vorrei dire esattamente come mi sento, ma non posso perché potrebbe far arrabbiare qualcuno, e non va bene. Spesso ho scritto pensieri sui social ma mi è stato detto ‘non puoi scrivere queste cose, lascia stare’.Anche quando stavamo scrivendo il mio libro, ho dovuto tagliare parecchio dopo che gli avvocati lo hanno esaminato. Man mano che sono cresciuto, ho imparato a tenermi certe cose solo per me, e adesso sto abbastanza bene, non ho troppi problemi. Sarò sempre onesto, tuttavia, se mi viene posta una domanda, dirò semplicemente come mi sento. Forse quando mi ritirerò e tornerò in Australia sputerò il rospo e dirò tutto quello che voglio, e non potrò mettermi nei guai!”.
Per quanto grande, non è stata solo la prima vittoria del titolo Mondiale a cambiargli la vita nel 2013, in effetti. Probabilmente, Tai direbbe che quella vittoria non è nemmeno stata la cosa più significativa che gli sia successa quell’anno. È stato proprio nell’aprile di quell’anno quando ha incontrato la moglie Faye che ha poi sposato nel 2016 e da allora hanno avuto due figlie. La sua influenza su di lui è chiara per chiunque possa vederla, è stata al suo fianco durante ciascuno dei suoi tre titoli Mondiali e gli dà la stabilità di cui Tai ha bisogno per spremere il meglio dalla sua incredibile abilità.
“Quando ho incontrato Faye ho capito subito che volevo sposarla e sono stato anche piuttosto insistente! Qualcosa è scattato subito ed è stato facile, funziona e basta. Non sapeva nemmeno cosa fosse lo Speedway quando l’ho incontrata e, a dire il vero, non le importava proprio, era semplicemente il mio lavoro. Ovviamente più ci conosciamo, più capisce che non è un lavoro normale, per sei mesi all’anno sono piuttosto impegnato.Niente di tutto ciò la fa impazzire, sa che è quello che faccio e fino a quando non mi ritirerò ci metterò tutto me stesso. Ma quando sono a casa non ne parliamo, non lo guarda, niente di niente. Quando sono a casa, sono suo marito e il papà dei nostri figli, non Tai il pilota di Speedway. Abbiamo una vita fantastica, abbiamo una tenuta con la nostra casa e i genitori di Faye vivono in un’altra casa vicino. Abbiamo delle stalle, un laghetto, affittiamo i campi in modo da averci un sacco di cavalli ed è il posto ideale per crescere i nostri figli. È il nostro progetto, ci abbiamo lavorato così tanto da non crederci. Abbiamo sventrato le due case, le abbiamo ristrutturate, livellato tutti i terreni, messo su una nuova cancellata, aggiunto una nuova rotatoria, abbiamo fatto tutto. Non abbiamo ancora finito, ma ci siamo quasi e quando sarà completato, sarà favoloso”.
Sono lontani i giorni in cui si beveva, si lottava e ci si ribellava. A dieci anni dal suo primo disastroso momento nella serie GP, Tai è adesso tre volte Campione, un padre di due bimbe, ha pubblicato un’autobiografia molto venduta, ha vinto innumerevoli premi ed ha consolidato il suo posto come uno dei migliori Campioni di Speedway di tutti i tempi. Ma ciò non significa che abbia finito. È lontano dal mettere la patrola fine…
“È fantastico aver vinto tre titoli Mondiali, se domani mi ritirassi sarei felice di quello che ho fatto, ma cosa verrebbe dopo? So in cosa sono bravo, sono bravo a guidare una moto da Speedway, quindi devo sfruttarlo al meglio. Mentre sono ancora in attività, voglio essere il migliore al mondo, questo è ciò che mi motiva. Quando mi ritirerò, potrò guardarmi indietro e sapere che ho fatto tutto correttamente dandomi tutte possibilità di essere il migliore. Nicki Pedersen – anche lui tre volte Campone del Mondo – una volta ha detto che la cosa più difficile è confermare il titolo, quindi questa è un’altra motivazione. Ci sono riuscito tre volte ma non posso ancora dire di averlo mantenuto, e questo mi dà fastidio. Non voglio vincerlo un anno e quello dopo no, e poi rivincerlo e andare avanti così: questo mi fa incazzare! È difficile vincere un titolo Mondiale, ecco perché solo pochi piloti l’hanno fatto. Nella serie GP ci sono i migliori piloti al mondo, tutti sono al top della loro carriera e vogliono esattamente quello che vuoi tu. So di avere un grande team al seguito e quanto duro lavoro c’è dietro, e so che basta per continuare a vincere. Dopo aver vinto il mio primo titolo, probabilmente mi sono rilassato un po’, ma questo mi ha fatto capire che non puoi permettertelo se vuoi davvero essere il migliore. Quest’anno lavorerò ancora più duramente di quanto abbia fatto l’anno scorso e l’anno prossimo lavorerò ancora di più.Voglio essere il migliore in assoluto. Il record è di sette titoli e ne ho solo tre, quindi ho ancora un po’ da fare, ma sono pronto a provarci. Ciò che mi spinge è voler fare qualcosa che nessun altro ha mai fatto prima”.
E potete scommetterci che lo farà! (images Monster Energy)
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