TRAMPAS PARKER. L’AMERICANO DI CASA NOSTRA
di Max Mones
L’Italia è stata la sua seconda Patria. Il Paese che gli ha offerto la chance di diventare Campione del Mondo. Strano a dirsi per uno che arrivava dall’America…
Ero lì, quel pomeriggio. Affogato nella bolgia umana della tifoseria dell’uno e dell’altro. I tanti di Sandro e, per la verità, i pochi di Trampas, mischiati a polvere e sudore. A Faenza quella domenica di aprile dell’89 si crepava di caldo, il sole spaccava le pietre. In pista c’erano i miei due idoli di sempre. Era il primo Gran Premio del Mondiale 125, una gara irrinunciabile per molti come me.
Con amici ero partito all’alba zaino in spalla carico di adrenalina e Heineken ghiacciate. Sbarbati che vivevano a pane, motocross e birra. Non c’era il web, nemmeno i social, né telefonini. La rivista MOTOCROSS unico canale a tener viva la mia passione. Ricordo come fosse ieri la presentazione del Mondiale a Faenza sul mese di marzo. Potevo mancare? Domanda retorica!
Al Monti Coralli quel giorno si scrissero i primi capitoli di due straordinarie carriere che, per certi versi, percorsero quasi lo stesso cammino. Il capitolo di Alex Puzar e quello di Trampas Parker. Il fenomeno italiano e l’americano arrivato dal nulla, trapiantato qui a casa nostra. Impazzivo per quei due. Per il loro dualismo alla Senna-Prost, alla Coppi-Bartali. Comunque sarebbe andata a finire a Faenza, quella sera sarei tornato a casa col sorriso. Perché, al di là del risultato, ciò che mi catturava e affascinava al tempo stesso era la determinazione, la fame, l’istinto animale insito in ognuno di loro due. Quel giorno Parker piegò un comunque maestoso Puzar, in un duello epico che scrisse il destino di entrambi.
Stravedevo per Sandro, come stravedevo per Chad, ognuno a suo modo rappresentava il modello del Campione come lo intendevo io. Talenti unici, capaci di stupire, incantare, di vincere soffrendo. Non per una questione di atletismo o fisicità, non per conoscenza del mestiere o cos’altro. Semplicemente per il carattere e per due attributi grossi così. Sandro e Trampas avevano una mentalità vincente che bastava anche per gli altri 38 dietro il cancelletto. Ma Parker a mio avviso (e anche secondo Puzar) ne aveva di più. Mi faceva letteralmente sbroccare il suo essere incazzato col mondo, duro, mascellare. Altamente infiammabile. Un vero figlio di buona donna. Sempre pronto alla lite.
Al tempo non facevo ancora parte della famiglia di MOTOCROSS, entrai in redazione due anni più tardi, non lo conoscevo ancora sotto il profilo professionale. Nei miei anni di Rivista mi è capitato più volte di incontrarlo e scambiare qualche chiacchiera, e di lui come pilota nutro ancora oggi grande stima e profonda ammirazione.
In Italia Trampas era venuto a cercar fortuna a fine ’86, quella che non trovò mai a casa sua nonostante un titolo AMA National Amateur alla Loretta Lynn due anni prima – inserito nel programma Team Green Kawasaki – e qualche buon piazzamento nel Supercross 125 West Coast, sua prima stagione da Pro. In seguito alla quale subì un brutto infortunio alla caviglia che ne condizionò i risultati.
Il caso volle che l’amico Billy Liles lo invitò a partecipare a una gara in beneficienza per lo sfortunato Danny “Magoo” Chandler (dove vennero raccolti 50.000 dollari) organizzata un mercoledì sera di settembre a Padova, nella quale corsero anche Jobè, Geboers e Kinigadner. Qualcuno lo adocchiò, ne intravide il potenziale, gli offrì una moto, un lavoro, un posto dove vivere e l’occasione per diventare Trampas Parker. Il primo pilota americano a conquistare due titoli Mondiali di Motocross. Questa è la sua storia…
“Fu purtoppo una gara per una triste causa. Danny Chandler era come un eroe per me, e vederlo in quello stato mi fece tremendamente male al cuore. Oggi Danny sta in un posto migliore”. Trampas Parker ricorda quella sera con profonda tristezza. Ma ci teneva a esserci, a portare il suo contributo a un uomo che ha rappresentato molto per la sua carriera.
Uno dei più riconosciuti talent scout dell’epoca come Nazzareno Cinti gli procurò una Kawasaki al volo, l’abbigliamento glielo prestò l’amico Billy e Trampas, allora diciannovenne, si fece subito notare con partenze brucianti e un doppio infinito (per l’epoca) che solo lui riusciva a chiudere. Peccato che per ben due volte fece esplodere il monoammortizzatore, e solo nella terza e ultima manche riuscì a portare a buon fine la gara dietro due mostri sacri come Geboers e Jobè.
Lì probabilmente scattò qualcosa nella testa di Parker, fortemente deciso a scrivere il proprio destino in una terra molto lontana dalla sua. Il Supercross gli aveva lasciato brutti ricordi alla caviglia che non voleva saperne di rimettersi in riga. “Dopo quell’infortunio decisi che il Mondiale di Motocross sarebbe stato il posto giusto per me, anche perché da bambino avevo sempre sognato di diventare un giorno Campione”.
Trampas trovò casa a Cornedo, nel vicentino, nell’87 provò a correre il Mondiale 500 con una Kawasaki di serie e licenza Sanmarinese, con un suo team privato supportato da Marta Pellami di Arzignano, Unadilla Valley, Armelli e M.Roberts. Suo primo GP in Spagna a Yunquera. “La velocità era buona, ma la moto surriscaldava di brutto. Quel weekend partì male ancora prima di iniziare a correre. Mentre stavamo viaggiando verso la Spagna il furgone si ruppe e fummo costretti a noleggiarne uno. Peggio di così non poteva capitarci”.
La stagione iridata per Chad ebbe vita breve, si concluse dopo i GP di Francia e Austria: impossibile combattere ad armi pari contro dei mammasantissima come Jobè, Thorpe e Nicoll se non eri tecnicamente equipaggiato. Le 500 ufficiali di quegli anni erano irraggiungibili per una moto praticamente standard come quella di Parker. Quindi, in accordo col suo meccanico Franco Mollo, Trampas prese la decisione di non proseguire più e di rimanere in Italia a correre più gare possibili a livello internazionale per mettersi in luce e magari farsi notare da qualche osservatore speciale.
Tra le persone che nei primi periodi da “emigrante” lo aiutarono ci fu anche un certo Moreschi del Motoclub Botticino, un grande appassionato del nostro sport che gli diede una mano a correre. “Francesco fu uno dei miei migliori amici che mi aiutò in ogni modo. Un giorno lo rivedrò in un’altra vita…”.
Il gran finale di stagione agli Internazionali d’Italia garantì a Parker un posto nel Team KTM Farioli per l’88, grazie al quale vinse i titoli italiani classe 125 e 500. Una bella esplosione del talento nascosto di un pilota da noi praticamente sconosciuto. “Sapevo che con una buona moto avrei potuto vincere e fu così” ricorda Parker col sorriso. Purtroppo, però, in ambito Mondiale le cose andarono diversamente. Schierato nella classe 250, concluse con un nulla di fatto, risucchiato in fondo alla classifica anche e soprattutto per problemi tecnici legati alla moto a partire già dal primo GP in Francia, corso a Salinders. “Si ruppe il pacco lamellare. Quando rientrai in pista pioveva a dirotto e mancai la qualifica”. Nello stesso GP l’allora ufficiale KTM Heinz Kinigadner fu costretto a saltare la gara a causa della frattura dello scafoide della mano destra rimediata dopo aver violentemente urtato un paletto di delimitazione della pista durante le prove del mattino. L’uscita di scena di Kini fece scattare a Parker l’idea di chiedere al Team KTM la moto ufficiale del pilota austriaco per correre la settimana dopo il GP di Spagna con la garanzia che sarebbe salito sul podio. Come prima risposta Parker ricevette un bel due di picche, sennonché dopo le grasse risate da parte dell’entourage KTM prevalse il buon senso e a Ibiza Parker si presentò sul “Kappone” di Kini col benestare di Hans Trunkenpolz. Ma per la seconda volta la Spagna gli disse male. “Stavo guidando la prima manche quando il link del mono si ruppe”, dopo tanti anni dal fattaccio, Parker lo ricorda ancora con un filo d’amarezza.
Di una cosa però Trampas è sempre stato convinto: della sua velocità. Nonostante le mille disavventure tecniche, la velocità rimaneva il punto cardine su cui basare il futuro, la convinzione che se la moto non lo avesse tradito, le condizioni per puntare anche molto in alto ci sarebbero state.
Alla sua prima stagione Mondiale full time (1989) KTM Farioli lo schierò al via della classe 125 e fu subito festa. Al primo GP a Faenza, da autentico outsider, Trampas mise la firma su entrambe le manche mantenendo le promesse di inizio stagione. “In un’intervista nella pre-season dissi che avrei vinto e così fu. Ma ancora prima della vittoria a Faenza ero convinto che quell’anno sarei diventato Campione”.
Cosa dicevamo a proposito del carattere? Negli anni di maggior splendore, se Parker si metteva in testa una cosa difficilmente mancava il bersaglio. Ricordo la volta in cui Dodi (Pacini, nda) mi confidò che a una gara sentì Parker pronunciare queste parole: “quando io dice vince, io vince”. L’italiano Trampas lo parlava a stento, ma in pista difficilmente sbagliava a coniugare i verbi.
Nelle tre stagioni con KTM Parker allacciò un buon rapporto professionale con il Ferro, alias Bruno Ferrari, il totem dei tecnici, il meccanico per antonomasia, figura storica da sempre legata alla famiglia Farioli e a quella KTM. “Arnaldo Farioli era il mio boss, ma chi mi portò in KTM fu Bruno. Un vero amico, il migliore meccanico che abbia mai visto in vita mia. Gran lavoratore. Ogni pilota che aspiri un giorno a diventare Campione dovrebbe avere al suo fianco un meccanico come il Ferro. La KTM 125 del Mondiale è sempre stata la mia favorita fra le moto con cui ho corso, il Ferro la faceva letteralmente volare”.
L’89 fu per Parker un anno quasi perfetto. Oltre al titolo Mondiale 125 (primo americano della storia a laurearsi nella ottavo di litro) vinse anche il titolo Italiano 250. Ormai Trampas era un pilota naturalizzato italiano a tutti gli effetti, al punto che disputò con i nostri colori il Motocross delle Nazioni a Gaildorf (Germania) nella classe 500 a fianco di Puzar (125) e Fanton (250). “Fu davvero una grandissima squadra, per me una gran fortuna avere Sandro e Michele come compagni. Purtroppo, perdemmo il Trofeo per soli due punti”.
Quel giorno il nostro inviato Emiliano Ranieri intervistò Parker a fine gara: “Vedevo Thorpe davanti a me e continuavo a ripetermi ‘vai Trampas, vai che lo prendi’. Quando gli sono arrivato in scia, non ho nemmeno avuto il tempo di pensare dove avrei potuto passarlo: mi sono buttato tra lui e il paletto… Dopo 100 metri mi ero già dimenticato di Thorpe, ero concentrato su Stanton che mi stava davanti di una decina di secondi. Sono arrivato a sentire l’odore del suo scarico, speravo di farcela, ma purtroppo non c’era più tempo. La bandiera a scacchi lo ha salvato. Il problema più grande è che nella prima manche mi sono accorto che tenevo le traiettorie della 125 sebbene stessi guidando una 500. Quando ho capito dove sbagliavo, sono stati dolori per tutti… Spero che tutti oggi abbiano capito a quali ritmi si è corso quest’anno il Mondiale 125. C’erano solo due piloti veramente forti, io e Puzar. Il problema è che anche il prossimo anno correremo nella stessa cilindrata e solo uno di noi due potrà vincere il titolo: ma sarà uno di noi due”.
In quegli anni il Motocross in Italia era davvero di un livello superiore, fu infatti il motivo che spinse Parker a stabilirsi qui da noi per confrontarsi con i migliori piloti al mondo. Primo fra tutti Alex Puzar. L’anno dopo, entrambi si ritrovarono al debutto nella classe 250. Puzar però si dimostrò superiore a tutti, anche a Parker, nonostante l’americano fu vittima di un infortunio che lo tagliò fuori dai giochi per il titolo Mondiale. “Sandro quell’anno andava davvero forte, in tutta onestà non so se sarei riuscito a batterlo anche senza aver avuto quell’infortunio alla spalla. Quel titolo se l’è meritato. Alex è stato il mio più grande avversario di sempre, e credo che la nostra rivalità abbia fatto di noi dei piloti migliori. Il sano antagonismo di due Campioni che non chiudevano mai il gas. Nessuno voleva veder l’altro vincere al posto suo. Bei tempi. Ogni volta che uscivo ad allenarmi, ogni volta che salivo in moto pensavo solo ed esclusivamente a come fare a battere Sandro. Eravamo amici e nemici allo stesso tempo, è così che va lo sport. Ho corso contro tanti Campioni, come Everts, Albertyn, Schmit, Smets, ma Sandro è stato l’unico che mi ha fatto veramente dannare”.
La “tempesta perfetta” arrivò nel 1991. Parker lasciò KTM Farioli per correre il Mondiale 250 con la Honda del Team MP Racing (Martin e Platini) e quell’anno spazzò via tutto con una furia inaudita: titolo iridato della quarto di litro e tre titoli Italiani 125-250-500. Nonostante il Mondiale 250 appena conquistato, alla fine di quell’anno il Team MP si sciolse e per la stagione ’92 Parker scelse di continuare a correre per Martin. “Il 1991 fu un anno perfetto e ringrazio tutti per l’aiuto. Sia Martin sia Platini erano fortemente motivati a vincere, fu fatto un gran lavoro di squadra. Poi sul perché il team si sia sciolto non so dirti, so solo però che rimanere l’anno a correre con Martin fu la scelta sbagliata”.
Nel Mondiale 250 Parker quell’anno concluse al quinto posto, ma riscattò in parte l’opaca stagione con uno straordinario successo al Fast Cross dopo un duello epico con il fresco Campione Supercross, Jeff Stanton. “Gara spettacolare, molto divertente. Vinsi rimontando da dietro grazie anche a Roland Solva che mi mise a disposizione delle sospensioni eccellenti. In carriera ho corso contro altri piloti americani come Liles, lo stesso Schmit, Vohland, Moore, Dymond e Healey, ognuno dei quali era un vero talento, ma c’era chi lavorava più degli altri”. Come a dire, che a far la differenza fra chi vince qualcosa e chi no, sono comunque e sempre i sacrifici. A farti il culo porti sempre a casa qualcosa, se non altro puoi dire almeno di avere la coscienza a posto. E Parker questo l’ha imparato sin da giovane. In età minicross c’era un ragazzino americano più grandicello di lui che sistematicamente a ogni gara suonava tutti quanti. Ma non perché era il più veloce, semplicemente perché era meglio preparato. Trampas imparò la lezione e su questo mantra basò la sua carriera di Campione. “Ai ragazzi dico sempre di lavorare sodo divertendosi, di ricordare il motivo per il quale hanno incominciato a fare motocross. E di provare ad avere a fianco il meglio, un meccanico come il Ferro e un tecnico delle sospensioni come Solva”.
Purtroppo, nello sport il nemico numero uno ha un nome ben preciso: si chiama età. Il tempo logora il fisico, annienta le motivazioni, inibisce l’istinto animale, la fame, e la parabola discendente prima o poi arriva per tutti. Salvo ritirarsi dalle corse con il titolo in mano. Cosa che in pochi al mondo hanno il coraggio di fare.
Trampas, purtroppo o per fortuna, ha sempre avuto una forte attrazione per le nuove sfide. Tuttavia, non sempre la voglia di rimettersi in gioco e gli stimoli vanno a braccetto con la fortuna. Nel ’93 ci riprovò con KTM, ma in Belgio si fratturò il polso. “Gli infortuni fanno parte dello sport, soprattutto se fai motocross, non puoi farci nulla. Arrivano e basta!”. Sentenzia Parker. Verissimo! Ma quando la struttura fisica comincia a scricchiolare significa che forse è arrivato il tuo momento.
Per quel poco che conosco Parker, so che uno come lui non avrebbe mai appeso il casco al chiodo nemmeno se minacciato con una forcella Solva da 50. Il risultato è che il Mondiale del ’94 andò di male in peggio, perché, come dice Parker: “avevo solo in mente la 500, non mi divertivo più”.
Come volevasi dimostrare, nel ’95 passò all’allora Classe Regina per tentare il tris Mondiale, riuscito solo al grande Eric Geboers. Con la KTM 360 2T arrivò secondo dietro Joel Smets in sella alla Husaberg 500 4T. “Non era un problema di cilindrata inferiore rispetto a quella di Smets. La mia KTM andava bene, solo che non mi fu permesso di vincere. Questioni politiche. Due mesi prima del Mondiale KTM acquistò Husaberg. Ogni volta che prendevo il comando del Campionato, la gara dopo avevo problemi alla moto. Fui l’unico pilota KTM ad accusarne. Ricordo il giorno in cui l’ingegnere mi disse che non avrei potuto vincere quell’anno, ma che ci sarei riuscito la stagione successiva. Farioli mi disse che era solo business, anche se sin dall’inizio avevo detto che il mio sogno era quello di vincere tutti e tre i titoli Mondiali. La stagione 1995 mi lasciò l’amaro in bocca. Non sarò stato il primo e nemmeno l’ultimo pilota a farsi rubare il titolo. Ma so chi fu il miglior pilota quell’anno. E non era Smets. Dopo la frustrazione di quell’anno, persi il rispetto per l’ambiente del motocross”.
Praticamente gli scese la catena, come si dice in gergo. Dopo il 1995 le provò un po’ tutte: il ritorno alla 125, di nuovo la 500, poi ancora la 125, poi 650 e infine MX3 ma senza lasciare il segno. Corse anche per i fratelli Vertemati nel Mondiale 500 del ’97, sua prima 4 tempi. “La moto era buona, il problema è che non ne avevamo una seconda di allenamento, mi toccava allenarmi con una Honda 125”. Nel 2000 disputò il Mondiale 125 per un altro costruttore italiano, TM. Anche in quel caso non fu più il Parker dei giorni migliori. “Un altro anno andato male. Era il periodo in cui io e mia moglie ci separammo, non avevo la testa per correre”.
Quattro anni più tardi, dopo aver aperto e chiuso senza infamia e senza lode una parentesi nel Supermotard, Trampas Chad Parker decise di appendere il casco al chiodo. Si fratturò un polso in una gara di minimotard e la sua storia finì lì.
Il primo dicembre del 2006 lasciò l’Italia per tornare a casa sua in Louisiana, dove per un anno collaborò con Alpina Raggi, mentre ora vive in Oklahoma con la moglie Sherry, in un’immensa tenuta dove si gode la vita andando a caccia e pescando nel lago di loro proprietà. In 17 anni di Mondiale ha guadagnato un bel gruzzoletto grazie anche a sponsor storici come Ufo, Boeri, StylMartin e soprattutto Chesterfield, seppur correre per un tabaccaio non gli andò mai a genio. Specialmente quando seppe che… “dei ragazzini cominciarono a fumare proprio per il fatto che Chesterfield fosse il mio sponsor”. Tornare a correre in America non fu mai fra le ipotesi percorribili, fece ciò che fece perché era ciò che voleva e il destino gli diede una mano. Davvero strano per un ragazzo americano cresciuto in un Paese che agli occhi del mondo rappresentava la Mecca del motocross, sognando i suoi idoli Marty Smith e David McClain, primo pilota di colore che avrebbe potuto avere un grande futuro.
Nel 2007 l’AMA riconobbe a Parker un posto nella Hall of Fame, fra i grandi Signori del motocross di tutti i tempi. Ma non pensò mai di correre in funzione del fatto che un giorno avrebbe potuto conseguire un riconoscimento di tale prestigio. Il motocross è sempre stato la sua unica ragione di vita e continua a praticarlo ancora oggi.
“Seguo sempre i Gran Premi di MXGP… Non condivido, tuttavia, il modo in cui è cambiato il Mondiale rispetto ai miei giorni. Se fosse per me, riporterei le qualifiche come si faceva un tempo, senza che siano i team a decidere chi corre e chi no. Con l’età si cambia, si diventa più saggi come la maggior parte delle persone che invecchiano, ma l’unico vero rimpianto della mia vita è il Mondiale del ’95: non fui io a perderlo, non mi fu semplicemente permesso di vincerlo. L’Italia è stata come una seconda madre per me, ho ancora molti amici che purtroppo non vedo più da tempo. Ah, fatemi un favore, se vedete in giro Michele Monti portategli i miei saluti”.
(images Emiliano Ranieri, Zep Gori e archivio MOTOCROSS)