Jeff Emig 1997. Il mio anno migliore
di Eric Johnson
Sempre all’ombra dell’onnipotente Jeremy McGrath, nel 1997 Jeff Emig inanellò una serie di prestazioni top che diede scacco matto al Re del Supercross. Jeff Emig è uno dei 20 piloti della storia del Supercross a poter vantare un titolo AMA nella premier class. E per quanto quello del 1997 fu l’unico vinto dal pilota di Kansas City, ciò che lo fece entrare con merito nell’AMA Motorcycle Hall of Fame fu senza dubbio l’essersi aggiudicato uno dei campionati più combattuti di tutti i tempi.
Pre-Season
La stagione dell’AMA Supercross 1997 “iniziò” effettivamente una settimana prima della prevista apertura in programma l’11 gennaio al Memorial Coliseum di Los Angeles. A sette giorni dal via della serie il campione in carica Jeremy McGrath scioccò il mondo intero annunciando di lasciare il Team Honda, col quale aveva vinto ben sei titoli Supercross consecutivi – due nella 125 West Region e quattro nella 250 – per formare il suo team ufficiale American Suzuki Motor Corporation sotto l’effige di Nac Nac Enterprises. Quando la forza dirompente del nuovo accordo colpì in pieno volto l’intera community del motocross americano, in molti rimasero storditi e confusi dal fatto che il più grande pilota di Supercross aveva lasciato qualcosa di sicuro come il Team Honda – vincitore di 15 titoli consecutivi – per guidare una Suzuki RM 250 per una Casa che non vinceva dal 1981. Cosa lo aveva spinto a tanto?
Pochi giorni prima che il sipario del Supercross si alzò su Los Angeles, Jeremy McGrath tentò di spiegarne i motivi in questa dichiarazione rilasciata alla stampa. “L’intera faccenda è stata una sorpresa. Pensare all’inizio di non poter più salire su una Honda mi ha messo un po’ di apprensione, non ho mai corso con nessun’altra moto, ma ora che ho ben focalizzato ciò che farò, tutto è perfetto. Il cambio mi farà bene e tutto filerà liscio più di quanto possa immaginare. Tutto procederà alla perfezione”. Le classiche ultime parole famose.
Al di là delle ragioni e delle motivazioni, McGrath passò a Suzuki nel tentativo di mettere in bacheca il quinto titolo SX consecutivo, dando un nuovo motivo di interesse al rapido avvicinamento al campionato 1997. Forse il primo pilota ad approfittare della decisione dell’ultima ora di McGrath fu proprio il suo più grande rivale, il Campione National 250 e vice Campione Supercross 1996 Jeff Emig.
“Quando appresi la notizia di McGrath in Suzuki, mi dissi che per gli altri sarebbe stata una buona occasione – ricorda Jeff Emig a distanza di anni da quel gennaio 1997 – Quando un pilota vince il Supercross per quattro anni come fece Jeremy, speri solo che un giorno o l’altro le cose girino in tuo favore. Jeremy e Honda erano un binomio fortissimo, per molti aspetti moto e team incutevano terrore. Eppure, non ho mai voluto correre per Honda, mai. Anche se molti dei miei eroi di gioventù avevano corso per Honda, per qualche strana ragione ho sempre sentito l’esigenza di battere Honda. Quell’anno, però, avrei corso contro McGrath su una Suzuki. Tuttavia, sembrava ci fosse una sorta di incertezza attorno al suo progetto, sulla moto, sul team, sulle sponsorizzazioni, su ogni genere di cose. Da parte mia, invece, dovevo solo concentrarmi su incrementare le prestazioni e mantenere alta la fiducia in me stesso”.
È interessante notare che, sebbene Emig avesse sconfitto McGrath nell’ultima manche a Steel City per assicurarsi il titolo AMA National 250 del ’96, l’ufficiale Kawasaki non fu del tutto convinto di poter battere lo stesso McGrath nel Supercross ’97.
“Effettivamente non ci credevo – rivela Emig – Per me il titolo Supercross era sempre sembrato qualcosa di inarrivabile. Quando nel 1991 passai in Yamaha faticai molto a capire la moto, vinsi qualche gara ma a lungo andare persi convinzione. Il regolamento AMA di allora mi obbligò a passare in 250, venni dato in pasto ai lupi molto prima di esserne pronto. Il Supercross è una questione di fiducia, nient’altro. Per via dell’alto livello di rischio, devi credere ciecamente in te stesso, essere consapevole del tuo potenziale. Per vincere non devi essere nella miglior condizione o avere la migliore moto, ma solo fiducia in te stesso. Durante la mia carriera in Supercross spesso mi sono sentito al di sotto delle mie possibilità perché mi mancava la convinzione”.
Round 1. Los Angeles Memorial Coliseum
Dopo cinque anni di assenza dal calendario Supercross, il venerabile Coliseum aprì la stagione 1997. Con McGrath che aveva rimescolato le carte in tavola, un’atmosfera di eccitazione, incertezza e persino di costernazione avvolse il paddock di Los Angeles, dal momento che nessuno effettivamente poteva sapere quale verdetto sarebbe scaturito dal main event. All’abbassarsi del cancelletto McGrath scattò davanti a tutti per presentarsi solo alla prima curva. Senonché, l’ex compagno di Team Honda Steve Lamson lo centrò in pieno e i due si ritrovarono gambe all’aria. Di questo contatto ne approfittò Emig che si portò al comando della gara tallonato dall’allora ufficiale Yamaha Doug Henry e dal compagno di team di McGrath, Greg Albertyn.
“Alla prima gara feci l’holeshot e Doug Henry, che era sempre andato forte all’inizio del campionato, fu davvero minaccioso – spiega Emig -. Mi si fece sotto, provai a sbarrargli la strada ma sbagliai e finii a terra. Un mio errore, nulla di che. Mi feci prendere alla sprovvista e alla fine finii sesto. Quella sera non c’ero con la testa”.
Quella che invece ebbe Albertyn. Per il tre volte Campione del Mondo di Motocross, passato a correre in America, quella sera filò tutto liscio. Non fu il solo sudafricano ad essere entusiasta a fine gara, ma tutto il Team di Roger De Coster dato che fu la prima vittoria nel Supercross 250 di Suzuki dal trionfo di Mike LaRocco a Las Vegas il 4 maggio 1991. Nel frattempo, il debutto del binomio McGrath/Suzuki fu letteralmente disastroso: 15°.
“Nessuno fra i suoi avversari si prese affatto pena per quel risultato – ricorda Emig -. Anzi, fu per noi grandioso”.
Round 2. Los Angeles Coliseum
La settimana dopo, il Supercross si disputò ancora una volta al Coliseum davanti a 47.831 spettatori impazienti di capire cosa sarebbe successo nel round due. Questa volta fu Henry a vincere sul compagno di team Ezra Lusk. In terza posizione si piazzò un rinvigorito McGrath, il suo primo podio con la RM 250. Dal canto suo, Emig raggiunse un misero 14° posto, frutto di diverse cadute nel corso dei 20 giri della finalee assieme al rivale di lunga data LaRocco.
“Era il motivo per cui sia io che LaRocco nei quattro anni precedenti non riuscimmo mai a tenere il passo di McGrath – sospira Emig ricordando le sportellate con LaRocco -. L’ego e il carattere non ci furono amici, tutti prima o poi cercavano una sorta di battaglia personale con Jeremy, motivo per cui molte volte io e LaRocco ne facevano le spese e Jeremy approfittava dei nostri errori. Non puoi tenere il passo di uno che non sbaglia mai. Dopo quella gara sapevo di dover cominciare a vincere immediatamente. Avevo fatto un sesto e un quattordicesimo, non certo una bella base di partenza per la corsa al titolo”.
Round 3. Sun Devil Stadium
Nel suo palmares Emig contava due vittorie in Supercross 250, la prima nella tanto criticata gara di Las Vegas nel 1995, la seconda a St Louis nel 1996 quando stoppò la striscia di 13 vittorie consecutive di McGrath. Il sabato sera del 25 gennaio 1997 in Arizona, davanti a 63.565 spettatori, Emig fece esattamente ciò che si era prefissato.
“Ricordo molto bene quella gara per via del tipo di pista – spiega Emig che approfittò di un cappottone di McGrath al decimo giro della finale -. Si addiceva molto al mio stile di guida più di qualsiasi altra, ma non ho dubbi sul fatto che se McGrath non fosse caduto probabilmente avrebbe vinto lui. Per noi avversari vederlo a terra fu una sorpresa. Normalmente eravamo noi a commettere quel tipo di errore, non Jeremy. E quando lo vidi sdraiato mi dissi: ‘ok, metti insieme un po’ di giri veloci e distaccalo’. Tornai da quella gara con molta più fiducia e maggiore determinazione”.
Round 4. Seattle Kingdome
Per la terza volta nei primi quattro round 250 Henry salì sul podio. Fu il suo secondo main event vinto in quella stagione mettendo seriamente in pericolo il titolo di McGrath. LaRocco arrivò terzo ed Emig “tranquillamente” quarto.
“Il più grande ricordo che ho di quella gara fu nel giro di presentazione, saltai sulla sessione ritmica e mi fermai di colpo sul tabletop. McGrath, che arrivava da dietro, si aspettava che saltassi di nuovo, ma non lo feci, così mi piombò addosso ed entrambi volammo a terra. Niente di serio, tant’è che ci facemmo una grassa risata davanti a tutti gli spettatori. Ma di divertente nella gara di Seattle non ci fu nulla. Scattai bene dal cancello e guidai forte per 20 giri. Vinse di nuovo Henry, il primo ad aggiudicarsi due finali, e ovviamente entrò nel radar di tutti. Quella sera Larry Ward arrivò terzo e stava attraversando un buon momento, ma onestamente l’avrei considerato un papabile pretendente al titolo? Pensandoci bene, no! Discorso diverso invece per Doug, lui aveva già vinto diversi titoli, quindi era da considerare seriamente un potenziale candidato alla vittoria finale. Eravamo ormai al quarto round e l’idea che ci facemmo fu quella che sarebbe stato un campionato piuttosto combattuto. Venendo via da Seattle, un gruppo di noi pensò che quell’anno ci sarebbe stata l’opportunità di vincere il titolo”.
Round 5. RCA Dome
Nonostante al secondo giro della finale la fettuccia di plastica di un banner si incastrò nella ruota posteriore della sua KX 250, Jeff Emig, che stava conducendo il quinto round, non si fece prendere dal panico, rimase calmo, freddo e concentrato, aspettò che la plastica si sciogliesse con lo strisciamento sulla ruota e diede vita alla seconda vittoria di stagione. Ad Indianapolis LaRocco colse un’eccellente secondo posto, mentre il consistente Henry chiuse terzo. McGrath, che patì problemi alla frizione, concluse amaramente nono.
“Fu una serata fortunata per me – sottolinea Emig -. Avevo agganciato un banner nell’area meccanici al primo o secondo giro dalla parte del freno posteriore e ci rimase per tutta la gara, ma non ebbi alcun problema. Se quella non fu fortuna, allo non so cosa fosse. Vincere mi diede una forte iniezione di fiducia, ero definitivamente consapevole che avrei potuto aggiudicarmi una serie di gare e il titolo Supercross nella premier class. Prima di allora non avevo mai provato nulla del genere. Dopo Indianapolis cominciai a guidare più sicuro, a sentirmi meglio in moto più di chiunque altro”.
Round 6. Georgia Dome
Per la quarta volta in sei gare ad Atlanta un nuovo pilota salì sul gradino più alto del podio. Ad avere l’onore fu l’ufficiale Kawasaki Damon Huffman dopo aver dominato il main event dall’inizio fin sotto la bandiera a scacchi. Alle calcagna del giovane californiano ci furono Emig e McGrath, i due diedero vita a una battaglia all’ultimo sangue fino a metà gara quando Emig, colto da un irrefrenabile slancio di foga, in una curva lenta fece uscire di pista McGrath.
“Fu una di quelle cose che capitano quando si affronta la stessa sessione a ritmi diversi – spiega Emig che chiuse secondo mettendosi alle spalle il Mac -. Quando saltai per impostare la curva, lui stava già curvando e gli piombai addosso sbattendolo fuori. Nei quattro anni precedenti probabilmente ci avrei rimesso io, mentre quella volta la fortuna girò a mio favore e rimasi in piedi. Da quel momento in poi la mia fiducia crebbe e diventai l’uomo da battere. Il fattore intimidatorio di Jeremy non fu più quello degli anni passati, ma lungi da me dal sottovalutarlo perché finché qualcuno non gliel’avesse strappato, il titolo sarebbe rimasto suo. Arrivava da una stagione in cui vinse una serie di main event di fila come mai nessun altro nella storia del Supercross, sapevo però che le cose per lui non stavano girando come un tempo, mentre per me andavano di bene in meglio. La mia guida era il massimo che avessi mai espresso, consapevole dell’opportunità che mi si era presentata. Jeremy non era al suo meglio, fu un campionato davvero combattuto, molti piloti potevano vincere, Huffman, Albertyn, Henry, mentre in passato tutto era focalizzato su come battere Jeremy. Improvvisamente la montagna da scalare non sembrò più così insormontabile”.
Round 7. Daytona International Speedway
Così scrisse Davey Coombs il 19 marzo 1997 su Cycle News: ‘L’ufficiale Kawasaki Jeff Emig ha centrato due obiettivi: vincere la 25.a edizione del Supercross di Daytona e diventare per la prima volta in carriera leader di classifica’.
“Il vantaggio che avevo su una pista come Dayona veniva dal fatto che nel campionato Motocross ero quasi imbattibile. Potevo esprimere la mia tecnica e la mia energia – racconta Emig di quel pomeriggio soleggiato che lo vide prendere le distanze dagli ufficiali Suzuki, Albertyn e McGrath -. Feci l’holeshot ed Henry, naturalmente, provò subito a pressarmi. Sapevo che se ai primi giri avessi resistito alla sua carica, poi non sarebbe più stato in grado di prendermi. Non quel giorno. Dall’altro lato, Albertyn dovette dare il meglio di sé per arrivare secondo, mentre McGrath ebbe una cattiva partenza, ciononostante corse una gara sorprendente. Per come si mise all’inizio e per quanto poi riuscì a portare a casa, quella sera per lui fu davvero un inferno. Per quanto mi riguarda, cercai di non complicarmi la vita, la pista era conciata da sbatter via e si prospettava una delle gare più lunghe e dure della stagione. Non commettere errori fu la chiave del successo di quella sera, ciò che feci fu tenere la posizione senza sbagliare una virgola. Sapevo bene dov’era Albertyn e dentro di me mi ripetevo di non sbagliare. Dopotutto, quello che doveva rischiare per venire a prendermi era lui. Albertyn avrebbe dovuto spingersi oltre il limite, mentre io stavo controllando la mia posizione in sicurezza. Alla fine, fu una delle gare più facili della mia carriera”.
Round 8. Minneapolis Metrodome
Sabato 26 marzo di quell’anno Jeremy McGrath vinse il 44° main event nel Supercross 250 nella sua già storica carriera. Ma cosa ancora più importante, vinse per la prima volta con Suzuki. Con l’aiuto del compagno di squadra Albertyn e dei piloti Yamaha, Jimmy Button e Doug Henry, Jeremy si inserì di diritto nel vortice di quelli a caccia di punti.
“Sapevo che McGrath avrebbe vinto – rammenta Emig che quella sera arrivò quinto -. Non al punto di dire, però, ‘ok ci risiamo, è tornato il McGrath di sempre’. Fu più una sensazione di consapevolezza del fatto che Jeremy aveva finalmente capito la sua Suzuki. Mi domandai, quindi, come dovessi reagire. Doug Henry era ancora in lizza per il campionato, eppure il pilota con la tabella numero uno era tornato di nuovo temibile. Dopo Minneapolis ero ancora in testa in classifica con 4 punti di vantaggio su Henry e 6 su McGrath. Eravamo davvero vicini”.
Round 9. Houston Astrodome
La gara di Houston fu un sogno per Jeff Emig e un incubo per il pretendente al titolo Doug Henry. Tuttavia, Emig si complicò la vita piantandosi in folle subito appena dopo la partenza. Senza perdersi d’animo, dalla prima curva uscì undicesimo e, uno dopo l’altro, infilò una serie di avversari risalendo di posizione. Al terzo giro era in quinta e poche tornate più tardi fu già al comando per andare a chiudere il match vincitore per la quarta volta in stagione.
“Dallo sbalzo sul cancelletto mi entrò la folle e a metà del rettilineo mi ritrovai solo in fondo al gruppo. Però risalii al comando molto velocemente. Fu puro Supercross, asciutto, perfetto, senza sbavature, la mia miglior gara di sempre – sostiene Emig -. Solitamente vincevo le gare facendo l’holeshot, ma quella sera li superai tutti, uno ad uno”.
Purtroppo, la fenomenale stagione di Henry si interruppe bruscamente a metà gara quando il compagno di team Button gli atterrò addosso da un doppio salto costringendolo a rientrare ai box con la mano sinistra fratturata e lacerata.
“Anche se ce le davamo si santa ragione, ho sempre avuto gran rispetto di Henry – rivela Emig -. In ottica campionato Doug mi rese le cose più facili, allo stesso tempo però mi dispiacque vederlo uscire di scena in quel modo. Certo, l’obiettivo rimane quello di vincere, ma prima di tutto il desiderio è quello di battere chiunque. A quel punto della stagione fu la prima volta in cui mi dissi che avrei potuto veramente diventare Campione Supercross”.
Round 10. Citrus Bowl
Al round di Orlando fu l’ufficiale Yamaha Ezra Lusk a vincere il main event, il sesto pilota in stagione a riuscirci. McGrath si prese un formidabile secondo posto, Emig si piazzò terzo e concesse due punti al suo avversario più diretto al titolo.
“Da quella volta McGrath cominciò a diventare più consistente e decisamente a suo agio sulla moto – dice Emig -. A quel punto del campionato fui tutt’altro che felice di regalargli due punti”.
Round 11. Trans World Dome
Quel venerdì pomeriggio, nel Missouri, Emig fu vicino a dire addio al titolo, colpa una brutta caduta nel corso delle prove libere.
“St Louis era la gara di casa per me, il round in cui l’anno prima avevo dato fine alla striscia di successi di McGrath. Arrivai in pista molto fiducioso, mi sentivo in sintonia col tracciato, soffice e scavato, pieno di canali. Durante le prove ebbi problemi di carburazione, mi cappottai e picchiai la coscia destra contro il manubrio, appena sopra la ginocchiera. Quando atterrai ero convinto avessi rotto il femore, tanto il male che sentii. Alla fine, fu solo un enorme livido ed entrai in panico. Contattammo subito chi ci sapesse di fisioterapia. Qualcuno mi diede da ingerire la cartilagine di squalo, qualcun altro mi massaggiò costantemente la gamba con il profondo ematoma”.
I trattamenti funzionarono al punto che sabato Emig si presentò pronto a gareggiare. “Nella heat feci l’holeshot ma Bradshaw mi buttò fuori. Quello era il modo in cui si correva all’epoca. Faceva parte del gioco, una guerra senza prigionieri”.
In finale McGrath trovò facilmente la via per portarsi in testa alla corsa con Emig alla caccia. Al traguardo arrivarono in quest’ordine e McGrath rosicchio altri tre punti a Emig che dopo St Louis aveva accumulato un bottino di 220 punti contro i 214 del Campione in carica, con quattro round ancora da disputare.
“Considerato come si era prospettato il weekend, a fine gara fui soddisfatto del risultato. Ero ancora lì in vetta alla classifica e questo mi diede ulteriore convinzione”.
Round 12. Pontiac Silverdome
Più di 63mila spettatori affollarono lo stadio per vedere McGrath buttare al vento una vittoria quasi certa. Al 18° giro perse l’anteriore della sua Suzuki RM 250 in una curva lenta a sinistra. Ezra Lusk ne approfittò e andò a vincere portandosi sul podio l’allora pilota Yamaha, Kevin Windham, e quello Honda of Troy, Larry Ward, mentre un irriconoscibile Emig, che quella sera dichiarò di non essere mai entrato in gara, chiuse il 12° round con un deludente settimo posto.
“McGrath sbagliò da solo – puntualizza Emig – Stava conducendo la gara quando a due giri dalla fine gli scappò via l’anteriore, uno di quegli errori che nei quattro anni prima non avrebbe mai commesso. Davvero molto strano per uno come lui. Per quanto riguarda la mia gara, la gamba era inguardabile, fui un totale disastro. Mi faceva ancora molto male”.
Con ancora Charlotte, Dallas e Las Vegas da disputare, i punti di vantaggio in classifica si erano ridotti a due: 234 per Emig, 232 per McGrath.
“A quel punto bisognava dare il tutto per tutto. Un’altra occasione del genere non mi sarebbe più ricapitata” confessa Emig.
Round 13. Charlotte Motor Speedway
Sul circuito del Nord Carolina che solitamente ospita la NASCAR, fu il pilota della West Coast 125 Kevin Windham a sorprendere i quasi 40mila spettatori con una vittoria. Secondo arrivò Ezra Lusk e terzo Greg Albertyn, che precedette Emig in una notte per lui comunque positiva dal momento che McGrath, in lotta con Windham per buona parte della gara, chiuse in nona posizione colpa la foratura della ruota posteriore.
“Un risultato niente male per la situazione di campionato – ammette Emig – anche grazie al problema alla moto di Jeremy. Bisogna crederci alla fortuna, quella volta guardò dalla mia parte. Arrivai quarto ma il tipo di gara che feci per determinazione e voglia di arrivare, mi dimostrò che sarei tornato a vincere. Ciò che avvertii chiaramente fu una pressione fuori dalla pista che non avevo mai provato prima. Eravamo alla resa dei conti, c’erano un sacco di cose da gestire mentalmente. Lasciai Charlotte felice di quel quarto posto, davvero un ottimo risultato. Non dico che nelle corse la Dea Bendata non giochi un ruolo importante, ma prima di tutto devi esserci per capitalizzare al massimo le occasioni. Le cose non arrivano da sole, devi conquistartele”.
Round 14. Texas Stadium
Dopo aver trascorso con Emig quattro ore a rivivere le fasi salienti di quel Supercross del 1997, quando è arrivato il momento di parlare del penultimo round in Texas gli si sono illuminati gli occhi per quella gara che, a suo dire, fu decisiva per le sorti del campionato. Si corse in condizioni di fondo disastrose, aveva piovuto incessantemente tutto il venerdì e il sabato, ed Emig diede il meglio di sé.
“Il venerdì mattina, mentre stavo volando su Dallas, pioveva a dirotto, ma mantenni un atteggiamento positivo. Il fango non mi aveva mai spaventato, provavo solo vibrazioni positive. Si parlò con l’AMA del fatto che la pista era molto fangosa e mi dicevo che quella gara si doveva correre, era solo una questione di atteggiamento. La settimana prima ero arrivato quarto, ma qualcosa a Dallas mi diceva che avrei vinto”.
In finale Emig schizzò letteralmente dal cancelletto per prendersi l’holeshot, mentre il rivale McGrath si ritrovò inghiottito dal fango in un tamponamento a catena. Riuscì a rimontare fino al quarto posto, ma Emig quella sera fu incontenibile.
“C’era un triplo che nessun altro tranne me faceva e sapevo che quella era una grossa opportunità da sfruttare – spiega Emig -. Quella sera ero sicuro di poter vincere. Tutte quelle circostanze e le condizioni del fondo girarono a mio favore e dominai letteralmente la gara. Jeremy ebbe alcuni problemi alla prima curva e guadagnai altri punti. Lì capii, e lo capì anche Jeremy, che avrei potuto vincere il titolo. Certo, c’era ancora Las Vegas, ma per me il titolo lo vinsi quella sera a Dallas”.
Round 15. Sam Boyd Silver Bowl
Sabato 17 maggio. Nello stadio del Nevada, Emig si consacrò Campione Supercross 1997.
“Poco prima del main event la tensione cominciò a salire – ammette Emig -. Ci fu un sacco di agitazione, sapevo che i miei tifosi e gli sponsor avevano organizzato una festa a fine gara, mentre mi apprestavo a raggiungere il cancelletto la pressione aumentò. Io e il mio meccanico Jeremy Albrecht cercammo di rimanere tranquilli, provando a conversare normalmente facendo le nostre solite battute. Quando mi schierai definitivamente al via, le cose però cambiarono di colpo. La sicurezza di diventare Campione cominciò a vacillare al punto di ripromettermi di portare a casa la gara senza strafare. Molte volte in carriera la pressione mi aveva giocato brutti scherzi e quella sera era l’unico ostacolo da superare: dovevo rimanere mentalmente concentrato senza fare pazzie. Al via della finale mi imbattei inizialmente col mio compagno di squadra Hughes e con Bradshaw, mentre Henry, rientrato dopo l’infortunio, si schierò per la prima volta con una Yamaha 4 tempi. Nel frattempo, ero curioso di sapere dove fosse McGrath, e capii subito che non rappresentava una vera minaccia, a quel punto tutto dipendeva solo da me: se avessi commesso un errore e fossi caduto, il titolo sarebbe rimasto a lui. Chiusi in quinta posizione e tagliai il traguardo senza esultare, alzai solo il pugno e mi guardai attorno. Incredibilmente vidi Henry fermo in cima al salto aizzare gli spettatori. Per un istante mi domandai se non fosse lui il vero Campione. Mi ci volle un attimo per tornare alla realtà, perché quel titolo mi era sempre sembrato irraggiungibile. Anche sul podio con la tabella numero uno in mano non me ne rendevo conto. Tornato poi al box Kawasaki iniziò la festa con mio padre, la mia famiglia, gli amici, tutti i ragazzi del team e finalmente realizzai ciò che avevo compiuto. Ero nel salottino dell’hospitality a cambiarmi quando Bruce Stjernstrom salì con due lattine di Budweiser e mi disse, ‘Ehi, Jeff, ce l’hai fatta’. Mi diede una pacca sulla gamba, di colpo mi svegliai da quel sogno e pensai, ‘sì, cazzo, ce l’ho fatta per davvero'”.
Jeff Emig. Cosa significa oggi essere un Campione Supercross?
“È qualcosa di cui vado fiero: avere quel trofeo in casa, far parte dell’élite dei Campioni Supercross, da Pierre Karsmakers in poi. Tutte belle sensazioni. Jimmy Weinert, Bob Hannah, Mike Bell, Mark Barnet, e via via Hansen, Bailey, O’Mara, Johnson, Ward, Stanton, JMB. Sebbene ne abbia vinti tre nel Motocross, quel titolo Supercross mi fa sentire al loro stesso livello, piloti che sono stati i miei eroi. Cosa significa quel titolo oggi? Probabilmente non avrei il mio lavoro di commentatore TV. La cosa che mi fa piacere è sentire i fan congratularsi con me per i miei interventi, perché so di cui sto parlando. Un sacco di altri piloti potrebbero dire le mie stesse cose, ma pochi hanno vissuto l’esperienza di vincere un titolo Supercross. Onestamente non mi reputo uno dei migliori piloti degli Anni ‘90, nemmeno fra i primi cinque, ma di una cosa sono certo: il titolo l’ho meritato. Però in tre anni vinsi solo sette finali, ci sono almeno dieci Campioni Supercross che fecero meglio di me: Windham, Lusk, Bradshaw, LaRocco… Quell’anno fu l’unico in cui mi preparai davvero al meglio e ci credetti con tutte le mie forze. Albertyn, Henry, Lusk, Windham, Huffman, Bradshaw, LaRocco, Button furono tutti molto veloci, una stagione davvero competitiva, senza dimenticare McGrath che vinse due gare e si giocò il titolo fino all’ultimo. Entrambi mostrammo un livello di competitività superiore agli altri. Sono fortunato ad aver vissuto quell’esperienza, ad avere oggi quei ricordi e ad essermi misurato contro il miglior pilota di sempre, anche se solo per una stagione. Mi ritengo fortunato di essermi spinto a un livello in cui non avrei mai pensato fosse possibile, di essermi confrontato con i migliori piloti di Supercross al mondo e di averli battuti”.
(images Davide Messora, Chris Hultner e Mario Marini)