ANDREA MARINONI. IO NON MOLLAVO. MAI!
Tre volte Campione Europeo nell’epoca d’oro della Regolarità, con SWM e KTM. Ha corso pure con Zundapp e Aprilia. E con Yamaha alla Dakar. Negli anni in cui il grande rally africano faceva davvero paura
di Jan Witteveen e Zep Gori
Ci aveva provato anche quattro anni prima. Sei Giorni all’Isola d’Elba, finale cross all’ultimo giorno. Per l’Italia è una passerella di gloria. Si sta vincendo tutto: Trofeo, Vaso, Squadre di Club. Marinoni con la Zündapp 125 è troppo veloce e potrebbe rovinare l’en plein per il Trofeo per l’Industria alla Fantic (che batterebbe proprio la grande Zündapp). Scatta la politica, Daniele Papi, cittì supremo della Nazionale, dà l’ordine e tutti si sbracciano per far rallentare Marinoni che sta dando troppo distacco a Brissoni.
Marinoni non capisce cosa succede, ma si fida e rallenta. All’arrivo, quando realizza, s’incazza ma non può neppure sfogarsi troppo coi giornalisti. La politica Federale, a quei tempi, non si può discutere. E Papi se ne ricorderà qualche anno dopo, quando, passato a dirigere il reparto corse BYRD di Yamaha Italia, chiamerà Andrea per la squadra enduro e per affiancare Franco Picco nei rally africani.
E dopo la carriera di pilota e quella di responsabile per le hospitality dei paddock dei circuiti, per la squadra Yamaha Italia e Fabrizio Pirovano nei Mondiali SBK. Poi per il Team Honda HRC Nastro Azzurro nella prima stagione di Valentino Rossi. Oggi per la MV Agusta ancora in SBK. Ma la sua immagine è ancora quella del campione di enduro. Di pilota ufficiale SWM, Zündapp, KTM, Aprilia, con la Yamaha alla Dakar. Eppure, dopo le prime vittorie con la SWM, la consacrazione arriva nella stagione 1981 con la Zündapp 125.
Cosa ti aspettavi dalla Zündapp?
“La guidavo bene, aveva una gran curva… mi riferisco all’erogazione: era molto pronta al gas. Quel motore era davvero una gran 125. Sono stato fortunato anche con la KTM, l’anno dopo, quando ho fatto in tempo a usare gli ultimi motori 250 da cross di Moisseev, che avevano un’erogazione talmente bella che usavo solo quattro marce. Bloccavano il cambio per eliminare la prima e mi bastavano le altre quattro. Un’erogazione bella-bella-bella. Però la Zündapp aveva un’altra qualità: l’affidabilità assoluta. Mai avuto un problema col motore, neanche con la moto d’allenamento. Fino a quel momento, non mi era mai successo! Erano tedeschi, non lasciavano niente al caso. Anche i team italiani erano preparati, magari sapevano improvvisare meglio, ma negli anni d’oro della Zündapp loro erano davvero una bella squadra”.
Arrivato in Zündapp, pilota di un reparto corse tanto famoso, dopo i test con la moto cosa avevi chiesto?
“Giri, più giri. Mi sono sempre piaciuti i motori con tanto allungo. A Gorgos, all’ingegner che venne dopo, ho sempre chiesto più giri e hanno lavorato per accontentarmi tutto l’anno. Anche a fine stagione, per la Sei Giorni dell’Elba, mi portarono una nuova marmitta. Non per vantarmi, ma quando facevo i test con la Marzocchi sapevo che si trovavano bene con me. Sapevo cosa volevo e sentivo le modifiche. La forcella doveva essere molto sensibile a partire, morbida all’inizio e indurirsi prima della fine”.
Quell’anno – nel 1981 – Zündapp aveva portato la prima volta il telaio col monoammortizzatore posteriore. Forse qualche problema…
“No, neanche quello, la moto andava bene, era bella da guidare e te ne dico un’altra: già all’epoca Zündapp usava per l’ammortizzatore – un Bilstein – la molla in titanio. Anche la forcella, che era una Marzoccchi, aveva le molle in titanio e dentro era rifatta tutta dal reparto corse in Germania. Con loro non ricordo di aver mai fatto un ‘tagliando’ in gara”.
Te ne ricordi uno divertente?
“Sono stato un pilota che di ‘tagliandi’ grossi in gara non ne hai mai avuto bisogno. Ne ricordo soprattutto uno, col ‘Ferro’ (Bruno Ferrari, ex pilota e tecnico storico KTM), durante una gara di Italiano ho avuto bisogno di fare un ‘tagliando’ perché avevo schiacciato la marmitta. Ma cambiare moto di nascosto, mai! Non ho mai avuto bisogno”.
Quali sono state le tue stagioni? Che ti sei sentito più forte?
“Nei primi Anni ‘80. Dal 1980 al 1985, anche con l’Aprilia 125, quando correvo con un piccolo team e una moto tutta nuova, senza problemi tecnici erano tutti europei (equivalente del Mondiale enduro di oggi, nda) che potevo vincere”.
Invece, quando hai capito che non ne avevi più abbastanza?
“Quel momento non l’ho mai vissuto veramente. A spezzarmi la carriera è stato quel brutto incidente nell’Incas Rally in Perù nell’86, contro l’auto che mi sbriciolò la gamba. La riabilitazione è stata lunghissima, quasi un anno e mezzo per guarire e ‘pota’!… quando son tornato con Yamaha ancora non ero a posto. Alla Sei Giorni bastò una piccola storta, senza cadere, sulla Yamaha 350 4T, a riaprirmi la frattura. Mi hanno operato di nuovo e ho perso un altro anno per la riabilitazione. Dopodiché non sono più tornato quello di prima. Te lo dico io, avrei potuto fare dieci anni da pilota vincente. Io ero già molto attento al cibo, non fumavo, non bevevo, mi allenavo tanto. Palestra, mi piaceva correre a piedi in montagna e c’era un bel gruppo di piloti forti con cui allenarsi spesso insieme. Tutti abitavamo vicino, tutti legati, erano anni diversi, ci si spronava. Stavo a Clusone, eravamo tutti vicini. Alla mattina andavamo in palestra e poi uscivamo in moto assieme. Magari un giorno non avevi tanta voglia, però ci si trascinava e stimolava a vicenda. Ognuno voleva battere gli altri”.
L’anno che hai guadagnato di più?
“Zündapp! Presi 50 milioni di lire, e tanto per fare un paragone, nelle stagioni precedenti non si arrivava alla metà. Poi non sono più riuscito a trovare ingaggi così alti”.
Però 50 milioni nel 1980 non erano moltissimi. C’erano altri premi?
“Sì, c’erano i premi, vincendo la Sei Giorni ho guadagnato altri cinque o sei milioni. L’abbigliamento era mio. Nel 1985 con l’Aprilia ero Yoko e Gaerne, si poteva aggiungere altri cinque milioni. Ho avuto comunque qualche stagione buona. Con i soldi della Zündapp ho tirato su casa. Avevo già il terreno ma quell’ingaggio era stato fondamentale e non spendevo per altre cose. Andavo in giro con una Fiat Ritmo ed ero contento così. Ma per noi regolaristi la fortuna era entrare in Polizia, nelle Fiamme Oro. Avere stipendio, una pensione e se mi facevo male… rimaneva lo stipendio. A quel tempo si prendevano quasi due milioni al mese. Funzionava così: le spese le pagava tutte la Casa – SWM, Zündapp e così via – le Fiamme Oro ti pagavano un indennizzo a ogni gara. Unico limite, non poter fare pubblicità”.
Insomma, tutto insieme si poteva arrivare a 100 milioni?
“Magari cento no, ma facendo attenzione si guadagnava bene… qualche stagione buona l’ho avuta”.
Il tuo avversario del cuore? Il tuo nemico preferito?
“Pòta… col Brissoni negli anni del 125! Una volta io e una volta lui, una speciale io e una speciale lui. Nella stagione con la Zündapp ho vinto belle gare, anche se l’Europeo se l’è preso Brissoni con la Fantic, per poco, ma l’aveva vinto lui. Io ero più forte se le gare erano dure… dure! Speciali brutte, scavate, se c’era da soffrire. Brissoni sapeva farla scorrere meglio. Sul pulito…”.
La prima speciale del mattino sull’erba bagnata dalla rugiada la vinceva lui…
“Ehhh, sì, in quelle condizioni era più forte. Io ero più aggressivo col gas, rendevo in altri momenti. Fra gli stranieri Sturm. Lui era uno forte. Non ho mai provato una MZ e non credo fosse tanto male. Ma Sturm era quello capace di fare la differenza. Andava forte, andava forte sempre”.
Il tuo miglior meccanico? Con chi hai lavorato meglio?
“Pòta… col ‘Ferro’ e con Giovanni, quello che lo aiutava a fare i motori. Quei due anni con Bruno in KTM sono stati speciali, mi hanno dato di tutto e di più, bastava chiedere una modifica e loro facevano il possibile. Ah, poi con Bruno non c’era da prendere scuse, bisognava dargli gas o avere il coraggio di dire ‘ho sbagliato’. Bisognava esser onesti. Ma è stato il migliore con cui abbia mai lavorato. Non ricordo bene, mi sembra che la stagione che lottavo con Orioli, con la 125, ed eravamo all’ultima prova di accelerazione, la gara finiva così e lui per guadagnare fino l’ultimo cavallo mi fece togliere tutto l’olio del cambio”. Erano gli anni che le enduro europee andavano ancora forte.
Infine, la Dakar. Una tua scelta?
“No, me lo chiese Yamaha. Daniele Papi mi conosceva e mi chiese di correre per loro”.
Finalmente su una giapponese?
“Le moto di allenamento qualche volta ce le scambiavamo tra di noi. Però se salivamo su una giapponese… non volevamo più scendere. Si guidavano bene, andavano meglio e non volevi più scendere. Sarebbero state meglio anche per fare enduro”.
I primi rally con l’Aprilia?
“C’era un programma e avevo iniziato. Nell‘85 fu Beggio a dirmi di andare a correre con Yamaha. Intanto potevo fare esperienza. Poi sono tornato all’Aprilia e nel 1986 si fece un primo Rally del Marocco, ma col 250 due tempi. Avevano sbagliato a fare i calcoli sui consumi e dovevo partire ogni giorno con una tanica da 20 litri sulla schiena. Ero una bomba. Dopo venne pronta l’Aprilia col primo Rotax quattro tempi, ma quel motore se si spegneva non partiva più. Non bastava collimare la fase nell’occhiello sulla testata, non partiva più. Dovevo correre con la regolazione del minimo altissima. La moto non era pronta per la Dakar e mi lasciarono andare di nuovo in Yamaha. Lì sono rimasto e alla Dakar ho avuto delle belle esperienze. Bei momenti e una moto – la Yamaha monocilindrica – che ho davvero amato tanto. Era la mia moto. Tutta ricavata dal pieno, materiali speciali, era proprio bella. Ti sentivi il padrone della situazione. La bicilindrica? No, era velocissima, anche sulla sabbia morbida andava via a 170-180 orari, ma pesava almeno 160-170 kg, troppo, non ero più padrone della moto. Non la dominavo come la monocilindrica”.
Però alla Dakar hai perso tuo cugino. Giampaolo.
“Sì, purtroppo è stata una conseguenza. L’anno prima si era ritirato subito, lui e anche Andreini, per una distorsione al ginocchio. Quando son venuti a casa… in paese la gente… ehhhh, la gente parlava… non è possibile che ci si ritiri così, per una piccola storta. L’anno dopo era tornato motivatissimo. Era già caduto un paio di volte. Un giorno aveva rotto il telaio della sua Cagiva e viaggiato tutto il giorno in piedi. Era arrivato la mattina. L’Azzalin, il capo di Cagiva, lo voleva fermare. ‘Tu non riparti più, ti ritiri’. Invece Giampaolo non s’è fermato. È morto l’ultimo giorno. Era davanti a noi sul bagnasciuga, andava quasi a 200, ha preso un’onda e preso il manubrio in pancia. Gli hanno detto adesso basta. Fermati. Lui no, mancavano 60 km e li ha fatti con un polso girato, una moto a pezzi. I medici l’avevano capito subito che aveva un’emorragia. Ma Giampaolo era sfinito dalla gara, dallo sforzo. Dopo l’operazione il suo fisico non ha avuto la forza di riprendersi”.
In quelle Dakar si moriva facilmente. Tu hai avuto paura qualche volta di non farcela?
“Non ho vergogna a dirlo: qualche volta ho chiamato a casa mia madre. Avevo a casa una figlia di tre anni, un bambino di uno. Qualche volta ho pensato che forse non li avrei più rivisti. In Africa c’erano condizioni terribili. Quando si faceva l’Algeria, a fine giornata in dieci minuti diventava buio pesto, e non si vedeva più niente. Quasi tutti i giorni si facevano mille chilometri. Sì, ho avuto paura”. La forza di essere un uomo, non solo un campione.
Anagrafica
Nato il 24 novembre 1955
Residente a San Lorenzo di Rovetta (BG)
Carriera
Inizio attività agonistica 1973
1974 Campione FMI Regolarità classe 50 (SWM)
1979 Campione Europeo Regolarità classe 175 (SWM)
1979 1° Valli Brgamasche classe 175 (SWM)
1980 Campione Europeo Regolarità classe 250 (SWM)
1980 1° Valli Bergamasche classe 250 (SWM)
1982 1° Valli Bergamasche classe 250 (KTM)
1983 Campione Europeo Regolarità classe 125 (KTM)
1983 Campione Italiano Regolarità classe 125 (KTM)
1985 4° assoluto Parigi-Dakar (Yamaha)
1986 7° assoluto Parigi-Dakar (Yamaha)
1989 9° assoluto Parigi-Dakar (Yamaha)
RICORDO DI UN VECCHIO CADETTO
“A metà mulattiera due moto di traverso. Spente. Non spinge nessuno. Fa freddo ma solo uno ha il casco in testa. L’altro accende una Malborina. Mi sembrano… ho tutto appannato, occhiali da vista e Scott, pulisco e vedo Gritti e Taiocchi. Fa freddo, piove, fango, tanto fango, se finisce per quei due questo Senior a Breno finisce anche per me. Sono bollito, bolle anche la mia Gilera 125. Spengo, ma qualcuno arriva a fuoco. Da come salgono, gente tosta, sono Senior 125 già al giro dopo: Marinoni e Orioli. Si giocano il titolo Italiano, Orioli è in testa al campionato, Marinoni alla gara in corso, se si annulla diventa impossibile ogni recupero. È indiavolato, si ferma un attimo, fa un cenno ai due senatori e Taiocchi non si discute: di lì non si sale più. Orioli spegne la sua Puch, ha un po’ di fiatone ma non si scompone, pulisce un attimo gli occhiali, intanto arrivano Muraglia e Rossi, gli unici due con la 80, e subito dopo Pegurri con l’altra 125. Marinoni ha bisogno di una classifica, una volée da manuale con la sua bellissima Aprilia, grida “di là” e s’inventa un taglio. Muraglia e Rossi dietro a fuoco, Orioli sospira ma deve seguirlo. Il titolo Italiano 1984 sarà suo, ma Marinoni c’ha provato. Non ha mollato”.
(Zep – images archivio Marinoni)