JEFF STANTON. IL NAZIONI DENTRO
di Eric Johnson
“Vorrei che i nostri ragazzi provassero ciò che provai allora a rappresentare il mio Paese”. Parla l’uomo che di Motocross delle Nazioni ne ha vinti tre di fila.
Jeff Stanton è uno che non ha bisogno di presentazioni. Ma ci sono tre ottimi motivi per parlare dell’ex Campione AMA Supercross e Motocross. In ordine di tempo: 1989 a Gaildorf, in Germania, al suo esordio al Motocross delle Nazioni condusse il Team USA alla vittoria. Un anno dopo, a Vimmerby, in Svezia, portò a termine un’epica ultima manche per mantenere vivi i 10 anni di vittorie degli americani. Nel 1991, nella profonda sabbia di Valkenswaard, su una Honda 500, portò alla vittoria i nipoti dello Zio Sam proprio all’ultimo giro. Sì, quelle tre gare per il membro dell’AMA Motorcycle Hall of Fame sono roba da leggenda.
La tua storia, Jeff, in questa competizione è straordinaria…
“Vorrei riportare quell’amore che avevo io ai miei tempi per il Motocross delle Nazioni, mi piacerebbe riportare quell’entusiasmo per questa gara ai nostri ragazzi. Quando correvo, il Nazioni era uno dei miei obiettivi principali. Durante la stagione puoi vincere titoli ma, ragazzi, il Nazioni è l’Olimpiade di questo sport. Onori il tuo Paese, devi batterti per questo, trovare energie nuove anche se hai un anno molto duro alle spalle. Non accetto il fatto che oggi si pensi al Nazioni solo in funzione di ciò che si è fatto prima o che si farà dopo. Al Nazioni non bisogna risparmiarsi, succeda quel che succeda. Lo devi fare per l’America, per la tua Nazione e per tutta la gente che rappresenti”.
Nel corso degli anni ho avuto il piacere di chiacchierare con alcuni piloti del passato che hanno vinto il Motocross delle Nazioni per il Team USA. E, bene o male, ognuno di loro ha essenzialmente espresso lo stesso pensiero: i Nazioni vinti significano molto più di tutti i titoli da loro conseguiti in carriera.
“Confermo. Le tre gare che ho vinto e per come le ho vinte – risalendo da dietro e sorpassando piloti all’ultimo giro – non le dimenticherò mai. Questo è lo spirito che voglio ritrovare in futuro nei nostri ragazzi. Vorrei che i nostri giovani ascoltassero le storie che avrebbe da raccontare Billy Liles sul Nazioni del 1992 in Australia. Mi piacerebbe che sentissero quelle di Ron Lechien. I racconti del famoso team di Maggiora ’86, con David Bailey, Ricky Johnson e Johnny O’Mara. Le gesta di quel team dall’altra parte del mondo mi spronarono a passare professionista proprio alla fine di quell’anno. È quello lo spirito che vorrei vedere nei nostri giovani e che purtroppo è andato perduto”.
A tal proposito, nel 1992 sia tu che Damon Bradshaw vi siete rifiutati di correre per il Team USA al Motocross delle Nazioni di Manjimup, in Australia. In passato mi hai detto che fu una delle mosse più stupide che tu abbia mai fatto…
“Ne ho parlato di recente con Billy Liles (a quel Nazioni in Australia Liles aveva sostituito, appunto, Stanton e si era pure espresso brillantemente, nda). Sono orgoglioso che lui sia andato e abbia vinto, stare a casa è stata la cosa più stupida che abbia mai fatto. Senza dubbio. Allora era diverso perché il Motocross delle Nazioni capitava nel bel mezzo del nostro campionato. Volare in Australia per correre era stupido. Dovevo vincere un titolo. Però, col senno di poi, sì, avrei dovuto andarci. È stato stupido, ma oggi sono orgoglioso di Billy, di Mike LaRocco e di Jeff Emig per quello che hanno fatto per l’America”.
Beh, poi ti sei fatto perdonare conducendo per ben tre volte gli USA alla vittoria del Nazioni… Il 1989 è stato il tuo primo anno nel team e hai corso non solo come debuttante, ma anche come leader della squadra!
“Di Gaildorf ho un bel ricordo. Ci correva David Thorpe. Ero un ragazzino e avrei fatto carte false per battere il Campione del Mondo 500. Sarebbe stato magnifico. Jeff Ward era sulla 500, quindi potevamo affrontarlo entrambi. Nell’ultima manche mi ricordo di essere partito dietro a Wardy in seconda fila, perché è così che si faceva. Sono uscito dalla prima curva in terza posizione, prendendo poi il comando e lasciando dietro tutti. La stessa cosa è successa nell’altra mia gara. Due vittorie incredibili”.
Nel 1990 il Motocross delle Nazioni si è corso a Vimmerby e in Svezia c’è mancato poco che il Team USA lo perdesse.
“Sì, è stato l’anno in cui il Nazioni stava diventando critico per noi. Non siamo andati alla grande. Qualcuno di noi ha picchiato più volte a terra, io ho avuto un brutto inizio di seconda manche. Sapevamo chi dovevamo battere. Tutto si sarebbe giocato nell’ultima e decisiva manche. Sapevo che dovevo passare il belga Dirk Guekens alla fine della gara. Dovevo passarlo. L’ho seguito e l’ho buttato fuori pista. Non ho intenzione di mentire, l’ho messo proprio fuori pista all’ultimo giro e abbiamo vinto. Ricordo che mentre stavo tornando ai box mi vedo arrivare quel pilota, molto più vecchio di me, con quei baffi, pronto a stendermi. Roger De Coster e Dan Bentley gli si erano parati davanti. Si fa quello che serve per vincere ed è proprio quello che ho fatto. Probabilmente sono stato troppo aggressivo, ma ero lì per vincere”.
L’anno dopo a Valkenswaard il terzo Nazioni su tre…
“La cosa che ricordo di più di quel Nazioni è che un paio di noi si sono schiantati. Eravamo testa a testa col Belgio e dovevamo batterli. Nel primo giro dell’ultima manche sono caduto ritrovandomi molto indietro. Era una pista stretta, molto sabbiosa. Bevo Forti – la persona che mi ha seguito in tutta la mia carriera; per me come un padre – era in piedi a bordo pista che mi urlava ‘Andiamo! Andiamo!’ A tre quarti di gara l’ho visto diventare un po’ più eccitato e mi sono chiesto se stessi riprendendo i primi. A tre giri dalla fine, Bevo saltava da una parte all’altra della pista. A guardarlo quanto si sbracciava mi sono caricato di più e ho continuato a spingere. Bevo è la sola ragione per cui ho fatto quello che ho fatto quel giorno. Il suo livello di energia era così forte che mi ha pompato e all’ultimo giro ho passato chi dovevo passare per vincere. Quella gara è stata al 100% merito di Bevo”.
Quelle al Motocross delle Nazioni sono le tue vittorie più preziose in carriera?
“Certo che lo sono. Voglio dire, è molto bello vincere un titolo Supercross ma quei tre Nazioni e quei tre abbigliamenti nella mia stanza dei trofei sono tra i più importanti della mia vita”.
Emiliano Ranieri, corrispondente di MOTOCROSS dell’epoca
STANTON LA FECE GROSSA…
Giusto poco tempo fa scambiavo qualche chiacchiera con amici riguardo ai “favolosi Anni 80 e 90 del Motocross”. Sono quelli che ho vissuto da inviato della Rivista e quelli, per me, che hanno tracciato il cammino di questo amato sport. Ma, vi assicuro, non lo erano solo per me. Uno di loro mi ha domandato quali erano le gare che, a distanza di anni, mi provocano ancora dei brividi al solo ricordo. Al cui pensiero mi si rizzano i peli della schiena che, al confronto, David Kessler nel film “Un lupo mannaro americano a Londra” è un chihuahua spelacchiato.
Ne conto sette in tutto. E tra queste figurano senz’altro i tre Nazioni che si sono disputati a cavallo tra il vecchio decennio e quello nuovo: Gaildorf ’89, Vimmerby ’90 e Valkenswaard ’91. Un giorno vi dirò quali sono le altre.
Ma ora stiamo parlando di quei tre favolosi, indimenticabili Nazioni. Che, ancora oggi mi provocano un misto di emozione, nostalgia, inquietudine, rimpianto, gioia… e anche un po’ di tristezza.
E se qualche superappassionato di Motocross di quegli anni ha il rammarico di non essere stato anche ad un solo di quei tre Nazioni, beh, lo capisco perfettamente.
Il NAZIONI di quegli anni era decisamente DIVERSO. Lo scrivo a lettere maiuscole, prima di tutto perché più sentito e anche tecnicamente parlando. Al tempo il Campionato del Mondo si articolava in tre classi: 125, 250 e 500. Il punteggio finale del Nazioni veniva calcolato non sulla posizione di arrivo al traguardo di ogni singolo pilota come oggi, ma sulla posizione acquisita in base alla classe di appartenenza. Quindi, i calcoli erano molto più complessi con l’incertezza che regnava sovrana fino all’ultimo metro di gara.
Il fascino del Nazioni inoltre era rappresentato dal fatto di vedere a confronto, unica volta l’anno, i tre Campioni del Mondo cui si contrapponevano piloti extraeuropei (in particolare gli americani), spesso alla loro unica apparizione nel Vecchio Continente. Insomma, un’atmosfera davvero magica, un tifo scatenato e uno spettacolo che quasi mai ha tradito le attese.
Gaildorf 1989
Se dovessi fare l’elenco delle 10 piste più belle al mondo, di sicuro ci metterei quella tedesca. Una serie di saliscendi naturali, con terreno duro (non troppo), di conformazione stupenda, visibile quasi tutta da più punti. Una super pista. Tra l’altro Gaildorf – poco più a nord di Stoccarda – ha un’altra caratteristica: è al centro dell’Europa. Due terzi degli europei è in grado di arrivarci da massimo 500-600 km (in qualche caso anche meno). Belgi, olandesi, naturalmente i tedeschi, ma anche francesi, austriaci, svizzeri, sloveni, italiani, danesi e pure svedesi. Solo inglesi e spagnoli hanno più strada da fare. Per il resto, è a portata di auto di tantissimi appassionati.
Infatti, ricordo un pubblico da paura, coloratissimo e organizzatissimo con le divise di ogni Paese. Un numero di bandiere incalcolabile, un tifo da stadio, un casino che non ci si crede. Spettacolo ancor prima di entrare in scena.
A Gaildorf noi italiani abbiamo perso il Nazioni perché avevamo cominciato a crederci tardi. Purtroppo, successe che Parker (500) e Puzar (125) vinsero entrambe le loro seconde manche di classe, ma non furono all’altezza nelle loro prime (Trampas, che allora era “naturalizzato” italiano, fece settimo e Alex quinto). A questi risultati si aggiunsero il 5° e 4° di Fanton (250). Davvero un peccato.
E pensare che Parker, allora Campione del Mondo classe 125, si schierò nella 500 con una KTM Farioli che aveva provato il martedì prima del Nazioni, e nell’ultima manche (250-500) vinta da Jeff Stanton, a tre giri dalla fine fece fuori il Campione del Mondo dell’allora Classe Regina, Dave Thorpe.
Stanton (250) fu in assoluto il migliore degli USA che quell’anno schieravano anche Mike Kiedrowski (125) e Jeff Ward (500), un team comunque temibilissimo nonostante l’assenza di due grandi campioni come Ricky Johnson e Ron Lechien. A fine gara Stanton dichiarò: “… l’unico pilota che mi ha creato qualche problema è stato Parker, sul finire dell’ultima manche si è avvicinato un po’ troppo, fortuna che la manche era quasi finita e non ho corso grossi problemi”.
Vimmerby 1990
Ottima organizzazione, molta meno gente di Gaildorf (in Svezia ci poteva stare) e una pista bella ma pianeggiante, quasi in un bosco. Ricordo anche una Pippi Calzelunghe come madrina dell’evento.
Stanton con Geukens la fece davvero grossa, avrebbero dovuto squalificarlo non dico a vita ma quasi. Chi conosce Geukens sa che assomiglia più a un boscaiolo finlandese che a un pilota belga di motocross. La persona apparentemente meno indicata con la quale creare discussioni. Se fossi stato in Geukens lo avrei macinato grosso. A Stanton è andata bene che l’energumeno belga, per quanto incazzato fosse, è sempre stato un ragazzo tranquillo. Mentre Stanton – diciamolo con il suo nome – gli ha fatto una grande bastardata. Sarebbe dovuta intervenire la FIM, ma incomprensibilmente tutto passò in sordina. Ancora oggi non mi spiego la reticenza da parte dell’Internazionale verso un’azione così scorretta e antisportiva che avrebbe meritato una sanzione esemplare.
Geukens a fine gara: “Potevamo batterli (rivolgendosi agli americani, nda) ma siamo stati sfortunati. Everts, dopo aver vinto la prima frazione, è stato rallentato da una caduta, in più Stanton mi ha centrato una gamba con molta cattiveria senza farsi il minimo scrupolo. Si meritava che gli rompessi la faccia, ma sono una persona pacifica e ho lasciato perdere”.
Pare che Geukens avesse giurato vendetta a Stanton al Nazioni dell’anno dopo che si sarebbe disputato a Valkenswaard. I problemi di gara si risolvono in gara…
Valkenswaard 1991
Sul sabbione olandese non si verificò di fatto quell’occhio per occhio fra Geukens e Stanton ventilato in Svezia l’anno prima. O forse non ce ne fu “l’occasione” da parte del pilota belga, dal momento che l’americano gli arrivò sempre davanti. Ricordo che Everts con il 125 non chiudeva mai il gas… sembrava guidasse una moto da gran premio di velocità. Il motore della sua Suzuki gridava vendetta tanto gli tirava il collo.
Stanton (500) ancora una volta fu il migliore dell’America, che in Olanda portò anche Kiedrowski (125) e Damon Bradshaw (250). A Valkenswaard anche Alex Puzar (raffigurato sulla locandina dell’evento) fece letteralmente le uova, terzo e primo di manche nella classe 250, ma a poco servì contro le prestazioni incolore e anche un po’ sfortunate dei fratelli Andrea (125) e Walter Bartolini (500). E pensare che il sorteggio per lo schieramento al cancelletto aveva favorito proprio l’Italia, il cui nome uscì per primo dall’urna.
Bradshaw a fine gara: “Un pilota deve essere veloce su ogni tipo di terreno, ma è inutile negare che la sabbia è quello peggiore per noi americani. Speriamo di ritrovare la sabbia tra altri dieci anni, perché così saranno altre dieci vittorie consecutive per noi”.
Da Manjimup in Australia (1992) fino a Namur in Belgio (2001) la profezia del “Demonio” non si avverò: gli USA vinsero “solo” quattro volte…
(images archivio Motocross/Emiliano Ranieri)