JEFF WARD. CALIFORNIA DREAMING
di Eric Johnson
I leggendari anni formativi di Jeff Ward nel minicross e nella classe 125 del Sud California rispecchiarono la crescita esplosiva del Motocross in America.
“Non c’era futuro perché non era ancora successo”, sentenzia Jeff Ward, seduto nell’ufficio di Troy Lee a Corona, mentre indica una foto di un vecchio numero di Cycle News. L’articolo riporta: ‘Orange, CALIF. 21 dicembre 1969 – Lo scorso weekend, la Southern California Mini Bike e Kart Association ha tenuto il suo National Championship Scrambles al Saddleback Park’.
Ward continua a leggere l’articolo, sfiorando con le dita una sua foto: un ragazzino su una Honda 50 minitrail numero 114 sulla linea di partenza, suo padre immediatamente dietro di lui. “Guarda qui – continua Ward, leggendo la didascalia -. ‘Un po’ di istruzioni paterne prima che Jeff Ward n. 114 scappi via col primo posto nella classe 6-8 anni’. Guarda i numeri, sono scritti a pennarello su una tabella di carta. In questa foto avevo sei anni, all’epoca non esistevano ancora le gare di minicross, solitamente si correva con le trial. Mio padre Jack ci correva con quelle moto, era cresciuto assieme a Sammy Miller e Mick Andrews, due Campioni di Trial che spesso si fermavano a casa nostra a Mission Viejo. Ricordo che col suo amico Ron Hendrickson aveva tracciato un pistino per noi ragazzini nel parcheggio del Saddleback Park con della calce bianca e dei bidoni della spazzatura. La mia motina era fantastica, mio padre l’aveva modificata con una marmitta, correvo contro motorini a strappo da 5 cavalli. Era un 50 cc portato a 70, gli avevamo abbassato la sella e dietro non aveva sospensioni”.
Nato a Glasgow, in Scozia
Ancora bambino, Jeff Ward dovette trasferirsi coi genitori negli Stati Uniti, stabilendosi a Orange County, in California. Fu lì che il padre Jack, un fanatico delle corse in moto, lo mise in sella a Saddleback Park all’età di soli cinque anni. Situato sulle colline di Irvine, appena fuori da Santiago Canyon Road, Saddleback fu all’epoca il prototipo di motocross park, il cui tracciato internazionale fu disegnato nel 1967 dal Joel Robert. Quello che l’anno dopo sarebbe diventato Campione del Mondo classe 250 per la seconda volta e altri piloti di Motocross di livello Mondiale provenienti dall’Europa, affascinarono i ragazzini americani con i loro straordinari talenti e stili di guida. La cosa sorprendente è che una settimana prima che Jeff Ward vinse il minicampionato della classe 6-8 anni, a Saddleback Park si corse l’Inter-Am Grand Finale Motocross.
I migliori piloti al mondo dei Gran Premi contro i giovani talenti americani vennero salutati la domenica 14 dicembre del 1969 da 20mila fans del Sud California che sborsarono 4 dollari per vedere correre lo svedese Arne Kring assieme ai compagni di team in Husqvarna Bengt Aberg (nonché Campione del Mondo classe 500 di quell’anno) e Hakan Anderson. Presenti quel pomeriggio di sole dietro il cancelletto anche Ake Jonsson (pure lui svedese in sella alla Maico) e il belga ufficiale CZ, Roger De Coster.
Quel giorno tra gli spettatori c’era anche il piccolo Jeff Ward che, come tanti, fu letteralmente catturato dai fantastici piloti del Mondiale di Motocross. “Erano i miei eroi – ricorda Wardy -. Li seguivo attraverso le riviste. Mio padre li conosceva tutti, immagino non avesse timore di parlare con loro nonostante il sul forte accento scozzese. All’inizio degli Anni 70 giravo sempre attorno a loro, non so se avessero mai visto nessun ragazzino così bravo su una minimoto quanto me. Avevano iniziato la loro carriera in Europa su grandi moto, poi arrivarono in America e videro questo bambino su una minimoto fare cose che nemmeno si sognavano di fare da ragazzini. Penso fossero un po’ attratti da me proprio per questo motivo. Credo pensassero fossi un po’ matto”.
On Any Sunday
Poi, puntualmente, il destino bussò. Quel giorno diventerà senza dubbio una parte folkloristica fondamentale dell’infanzia di Jeff Ward. “Avevo otto anni, ero a Saddleback per una gara di trial. Vedevo quei ragazzi arrampicarsi sulle salite con la moto impennata e dentro di me mi dicevo ‘posso farlo anch’io’. Ci provai e riuscii a fare tutta la salita avanti e indietro più volte in monoruota. La cosa incredibile è che quel giorno girava per il park un cameraman con in mano una cinepresa. Mi vide impennare e mi chiese se potevo farlo ancora un paio di volte. Detto fatto. Non lo conoscevo, nemmeno mi ero mai fermato a parlarci. Mesi più tardi i miei genitori mi portarono al cinema di El Toro a vedere il film On Any Sunday. All’improvviso, colto da stupore, mi vidi nel film mentre impennavo la mia minimoto. Non me lo aspettavo. Tutti quanti schizzammo sulle poltroncine impazziti. Giorni più tardi tornammo a rivedere quel film”.
Pochi anni dopo Jeff Ward fece amicizia con un bambino di nome Chad McQueen della sua stessa età. Si erano conosciuti mentre giravano in moto a Saddleback e Indian Dunes.
“Quella ripresa di Jeff che impenna in On Any Sunday fu un punto di svolta – ricorda Chad McQueen, oggi 60enne di Palm Springs -. Nessuno aveva mai visto prima un ragazzino fare quelle cose su una minimoto. Quando iniziai a correre, Jeff era un punto di riferimento. Tutti volevano batterlo. Spesso veniva a Malibù a correre insieme a me. Suo padre ce lo affidava e tornava a riprenderselo diversi giorni dopo. Io e Jeff eravamo la condanna dei vicini”.
Jeff e Chad McQueen, amici ancora oggi, vissero in prima persona lo stile di vita delle celebrità di Hollywood nell’affascinante Malibu. “Chad viveva lì, spesso stavo a casa sua per settimane a girare in moto con lui e il padre Steve. Ero molto piccolo, non sapevo effettivamente cosa facesse il padre. M’interessava solo andare in moto, andavamo a girare in un terreno di fronte casa e poi ce ne andavamo in spiaggia. Quando andavamo al ristorante la gente lo tormentava. Steve non ci faceva più caso, ma io non capivo il perché. Con noi spesso c’era l’attrice Ali MacGraw e la gente si accalcava per conoscerla. Io e Chad eravano solo dei ragazzini, nemmeno sapevamo cosa facessero i nostri genitori. Per me suo padre era suo padre. Stop. Solo quando sono diventato grande ho capito il perché di tutta quella attenzione verso Steve McQueen”.
A Steve McQueen, una delle stelle del cinema più amate al mondo, piaceva molto correre in moto col figlio Chad. Da buon ex pilota automobilistico, Chad ricorda le volte in cui usciva a correre in moto col padre Steve. “Fu l’esperienza e la dimostrazione di affetto più singolari che ebbi con lui. Amava andare in moto. Andava spesso a girare sul circuito internazionale Shadow Glen a Indian Dunes. Fu un bel periodo, che infanzia meravigliosa aver potuto condividere quelle esperienze con mio padre”.
Honda XR75
Nel 1973 Jeff Ward era tra i piloti di minimoto più veloci e completi di tutti gli Stati Uniti. Sostenuto da Honda e armato della rivoluzionaria XR75 – una reale minicross da competizione che rappresentò sostanzialmente la svolta -, Ward si presentò al primo Mini-Cycle Winter Nationals tenutosi nel weekend del Ringraziamento a Jacksonville, in Florida, e travolse tre classi. Tornato nel Sud della California e dopo aver masticato piste sul duro come Saddleback, Indian Dunes, Escape Country, Carlsbad e Ascot, Ward diventò sempre più veloce vincendo nel 1974 il World Mini Grand Prix disputatosi a Indian Dunes.
Il 1974 fu un anno grandioso per il Motocross in America. Innanzitutto, Honda presentò la sua radicalmente nuova CR125M due tempi. Veloce ed estremamente leggera, diventò ben presto la moto da avere in tutti gli Stati Uniti. Anche Yamaha e Suzuki introdussero a breve le rispettive 125 tutte nuove. Un’altra moto lanciata quell’anno fu la Yamaha YZ80A. Progettata specificamente per il Motocross, la YZ80A era pronto gara già di serie. In più con il pilota ufficiale Yamaha Brian Myerscough alla sua guida, la sensazione fu che un altro pilota del Sud California avrebbe preso il controllo assoluto di questo sport. Immediatamente, Honda e la famiglia Ward sapevano che qualcosa doveva cambiare se volevano rimanere competitivi.
“Nel 1975 Honda factory cominciò a darci aiuto – spiega Ward -. All’epoca però le quattro tempi erano in difficoltà contro le YZ80. Per quanto Honda ci desse una mano, di tutta la preparazione della moto se ne occupava la Jeff Ward Racing Products di mio padre. Preparò il motore, ci mise sopra un telaio C&J e realizzò pure il forcellone. Era dura per una 75cc 4 tempi competere con una 80cc 2 tempi. A ben vedere sulla 2 tempi la cilindrata sarebbe doppia. Mi ci sarebbe voluta, cioè, una 150 4T per correre ad armi pari contro le Yamaha 80. Ciò fece di me un pilota migliore perché dovetti sopperire alla carenza di cilindrata con la tecnica di guida”.
L’unione di risorse fra Honda, J&B Racing (Jeff Ward e Brad Dutoit Racing) e Hacienda Honda, si spinse al limite più che potesse per riuscire a estrarre più cavalli possibili dalla XR-75. “Una volta usammo la nitro e alleggerimmo il volano per rendere la moto più veloce, col risultato che l’esperimento ci si rivoltò contro in una gara locale – rammenta Ward -. Mi fermai a bordo pista, l’olio usciva dal carter, poi, all’improvviso, sentii la gamba scottare. Guardando in basso, mi accorsi di uno strappo nella tuta in pelle e vidi che un pezzo del volano volato via mi aveva bucato lo stinco. Quando mio padre se ne accorse svenne, così l’ambulanza al posto di soccorrere me si preoccupò di dare aiuto prima a lui”.
Sulla potente Honda XR-75 Jeff Ward stava rapidamente diventando una superstar delle corse minicross. Pur avendo vinto innumerevoli gare e titoli, era diventato anche il pilota ufficiale Honda, la sua immagina compariva in una serie di pubblicità prodotte da Honda che giravano in tutto il mondo. “Mi piaceva correre con Honda in quegli anni – sostiene Ward -. Avevamo tutto il materiale ufficiale, ero un grande fan di Marty Smith, di Tommy Croft e di tutti i piloti factory Honda. Finalmente ebbi anch’io la maglia Honda ufficiale. La cosa interessante è che nonostante corressi con le Honda ufficiali, non pensai nemmeno un secondo a guadagnarmi da vivere. Credo che nessuno pensasse realmente di guadagnarsi da vivere con le moto. Allora era solo uno sport. Non c’era differenza fra giocare a calcio o correre in moto. Non ho mai pensato di correre su una moto ufficiale per fare soldi. Non c’era futuro perché non era ancora successo. Era solo divertimento, assieme alla tua famiglia, in giro per tutto il Paese. Andammo ovunque. Il Motocross continuò a crescere e sconvolse come una Woodstock. L’aura di questo sport cominciò a espandersi, tutto stava prendendo forma”.
Jeff Ward concluse la sua carriera da dilettante nel 1977, il suo ultimo trionfo arrivò al National Minicycle Association’s Cyclerama disputatosi al Racing World di Trabuco Canyon, in California. Un evento che aveva già vinto nel 1975, Ward tornò alla grande nella prestigiosa Race of Champions che vide in gara i primi 12 minicrossisti d’America su Yamaha YZ80D (la prima moto da motocross di chi scrive, nda). Durante il ’77, Jeff Ward iniziò a spostare la sua attenzione sul diventare un pilota professionista, unendo infine le forze con Suzuki e il leggendario preparatore FMF della California del Sud. “Prima dell’inizio del Campionato Nationals 125 del 1978 ero piccolo. A 16 anni sulla mia licenza c’era scritto: altezza 1,25 mt, peso 43 chili. E stavo per correre i Nationals”.
Debutto nei Pro
Fu un periodo fiorente nella storia del Motocross Americano. Il Supercross, che prese ufficialmente vita dentro il Los Angeles Coliseum il sabato sera del 9 luglio 1972 quando un 16enne di nome Marty Tripes fece parlare di sé grazie a una convincente vittoria: era in pieno boom. Marty Smith e Bob Hannah, entrambi giovani californiani, diventarono ben presto piloti di fama mondiale ed eroi per tutti i ragazzini americani. Eppure, furono i piloti del Campionato del Mondo di Motocross ad avere un ruolo fondamentale in questo sport. Tuttavia, il cambiamento era già iniziato.
Nel 1978 la cittadina di Plymouth, alla periferia di Sacramento, ospitò il round di apertura dell’AMA Nationals Championship 125. Alla decima edizione dell’Hamptown Motocross Classic, 30.000 fan inondarono la pista di sabbia e fu lì che il piccolo Jeff Ward fece il suo debutto da professionista. “Suzuki tirò fuori la mia moto dal van di Kent Howerton – rammenta Ward, che quel pomeriggio avrebbe dovuto vedersela con specialisti della 125 come Broc Glover e Mark Barnett -. Portavano la moto alle gare solo per me, io dovevo solo arrivare in pista, ma non mi davano un centesimo. Quel giorno fu una gara piuttosto dura. Feci l’holeshot in entrambe le manche ma venni doppiato. Finii 16° assoluto”.
Il weekend dopo, esattamente a 431 miglia a sud della Interstate-5, Ward corse il secondo round dei Nationals 125 al Racing World a Trabuco Lake e fece decisamente meglio ottenendo un impressionante sesto posto assoluto contro Glover, Barnett, Gaylon Mosier e Brian Myerscough. “Pioveva a dirotto mentre stavamo raggiungendo la pista – spiega Ward -. Ci aspettavano di correre sul solito tracciato, ma le forti piogge consigliarono gli organizzatori di spostare la gara nella pista più alta, che era poi quella su cui mi allenavo sempre. Era una specie di pista d’erba sopra la collina. Fu la gara in cui cominciai a correre abbastanza decentemente”.
Nei tre round successivi al Rio Bravo Motocross Park in Texas, all’Omaha Motocross Park nel Nebraska e al Moto-X 338 nel Massachusetts, Ward continuò a mostrare lampi di brillantezza, inserendosi con frequenza nelle prime cinque posizioni di manche. Dopodiché il Campionato Nationals 125cc si prese una pausa di tre mesi, proprio quando Ward si trovò a correre incredibilmente per un nuovo datore di lavoro. Prima del sesto round al Pine Top Motocross Park di Rhode Island, venne ingaggiato dal Team Yamaha per aiutare Broc Glover nella corsa al titolo. “A metà stagione ero all’improvviso su una Yamaha di produzione. Suzuki aveva un sacco di piloti nella 125, mentre Yamaha non poteva dire altrettanto, e stava cercando di organizzarsi per l’anno successivo. Mi dissero che avevano pronto un contratto per me. Dovevo solo decidere di salire subito in moto e a tutte le spese avrebbero pensato loro”.
Yamaha OW125 factory
Ward salì sulla Yamaha numero 336 andando vicino a vincere la sua prima manche Nationals alla penultima gara della stagione corsa al Metrolina Speedway Park vicino a Charlotte, nel Nord Carolina. Allora la rivista Cycle News sul numero del 30 agosto 1978 riportò quanto segue: “Il piccoletto 16enne che riusciva a malapena a toccare le pedane della moto, per non parlare del terreno, stava per aggiudicarsi la sua prima gara 125 di Nationals”.
Ward spiega cosa successe realmente in quei 45 minuti di gara. “Nelle due ultime gare di campionato per aiutare Broc Glover Yamaha mi mise a disposizione una OW125, me la diedero a Charlotte. Con quella moto rimasi al comando della prima manche fino al due giri dalla fine, quando un doppiato mi buttò fuori pista e così vinse Gaylon Mosier, mentre io arrivai secondo”.
Il weekend successivo il campionato 125 si concluse al Sunshine Speedway a St. Petersburg, Florida. Ward finì il suo primo AMA Nationals 125 con un rispettabilissimo settimo posto nella generale. Tre mesi più tardi decise di provare col Supercross, schierandosi al via del round finale disputatosi all’Anaheim Stadium. Non fu facile! “Era il mio primo Supercross in assoluto. C’era fango e pioveva a dirotto. Anche lì vinse Gaylon Mosier, io nemmeno mi qualificai. Ero intimorito, sembravo un pesce fuor d’acqua, come se non dovessi esserci proprio in quel posto. Non so chi mi spinse a farlo, probabilmente mio padre. Ero talmente piccolo che sulla moto nemmeno toccavo terra con la punta dei piedi”.
E mentre la gara di Anaheim fu per Ward un fallimento, quello che successe il giorno dopo non solo riuscì a compensare la delusione, ma dimostrò quanto quarant’anni fa le corse professionistiche fossero molto diverse. Benvenuti al DG Minibike Challenge. “C’era questa gara mini a Saddleback il giorno dopo Anaheim. Immagino la disputassero da sempre. Decisi di corrervi, la DG mi mise a disposizione una moto e non ce ne fu per nessuno. Hannah era incazzato nero, quella gara la vinceva sempre lui – spiega Ward che quel giorno ebbe la meglio non sono su Hannah, ma anche sul vincitore della sera prima ad Anaheim, Gaylon Mosier, nella Pro Main -. Non fu incazzato solo per aver perso, ma soprattutto perché quelli della DG mi avevano portato una Yamaha molto buona quanto la sua e li massacrai tutti. Prima della gara un giornalista di Cycle News mi chiese come avrei fatto contro Hannah e Mosier, gli risposi semplicemente che li avrei ammazzati e basta. Ero un ragazzino arrogante. Voglio dire, Mosier aveva vinto il Supercross la sera prima, io nemmeno mi qualificai. Dovevo riscattarmi”.
Prima dell’inizio della stagione di gare 1979, Jeff Ward fu convocato nel quartier generale Yamaha a Orange County, California, per cercare di raggiungere un accordo. “Mi chiamò al telefono Kenny Clark di Yamaha, mi disse che mi volevano ingaggiare per quell’anno. La proposta economica era buona, tutto sembrava perfetto, peccato che non potevo avere la moto ufficiale. Non ne avevano abbastanza e quelle disponibili le stava usando Broc Glover. Risposi loro che avevano ben sott’occhio i miei risultati con la moto standard, che correre senza la moto ufficiale non avrebbe avuto senso. Ne fui contrariato, avevo aspettato così a lungo quella chiamata al punto che a fine novembre il mercato piloti era già tutto fatto. Pensai fossi rimasto fregato. Mi domandai se accettare o meno il contratto”.
Contratto Kawasaki
Ben presto il destino entrò in azione sulle colline di Trabuco Canyon. Presosi una pausa durante l’allenamento, il pilota del Team Kawasaki Jimmy Weinert, ex Campione AMA Motocross National e Campione AMA Supercross del 1976, adocchiò Ward. “Stavo girando al Racing World sulla stessa pista in cui avevo corso all’inizio di quell’anno – dice Ward -. Mi fermai in cima a una collina, Jimmy Weinert mi si avvicinò chiedendomi se avessi già una moto per l’anno dopo. Risposi che non lo sapevo ancora, che non avevo intenzione di accordarmi con Yamaha, a meno che non volessi guidare una moto di serie. Ma non ne avevo affatto voglia. Jimmy partì di corsa dritto in Kawasaki. Nemmeno conoscevo Jimmy Weinert. Quella sera tornai a casa e ricevetti una chiamata da Kawasaki in cui si diceva che mi volevano con loro. Il giorno dopo firmai un contratto per 9.000 dollari”.
Il primo anno di Jeff Ward con il Team Kawasaki non poteva partire nel migliore dei modi. Il 7 gennaio 1979 vinse la gara di apertura delle CMC Golden State Series sulla sua amata pista di Saddleback Park. Tuttavia, i risultati sia nel Supercross – dove Ward venne gettato nella tana dei lupi da debuttante – sia nel Campionato Nationals 125 tardarono ad arrivare. “Kawasaki inizò a testare pezzi sulla moto che non funzionavano – puntualizza Ward -. Provarono l’Uni-Track ma continuava a rompersi, così come altre parti. Il peso della moto nemmeno a parlarne. Il limite per una 125 era di 175 libbre (poco più di 79 kg, ndr), la Suzuki RM 125 di Barnett ne pesava 176, mentre la nostra Kawasaki alla bilancia faceva 215 libbre (97,5 kg). Io ero un ragazzino leggero che non pesava nulla e dovevo lottare con una moto di 40 libbre in più di quella di Barnett. Senza contare che lui era un vero animale. Fu una lotta”.
Tuttavia, quell’anno portò un barlume di luce. Ward fece l’holeshot al Coca Cola Bottlers’ Superbowl of Motocross dentro il tentacolare Los Angeles Coliseum e guidò al comando la finale per sette giri davanti al più vasto pubblico che un Supercross aveva mai mai visto prima. “Me lo ricordo bene – sorride Ward quando ritorna con la mente a quei 76mila spettatori del Sud della California -. Quella sera avevo una badana intorno al collo, non so nemmeno perché”. Per la cronaca, quella sera vinse Mark Barnett, mentre Ward si piazzò quinto.
Nonostante avesse dovuto affrontare la forza onnipotente di Mark Barnett negli anni 1980, ’81 e ’82 nell’AMA Nationals Championship 125, alla fine per Ward tutto girò nel verso giusto: sabato 18 aprile 1982 vinse il suo primo evento AMA Pro Racing al Lake Whitney Cycle Ranch. Con la vittoria due anni più tardi del titolo Nationals 125, Ward chiuse il cerchio su qualcosa che stava inseguendo da quando era un pilota mini 50cc al Saddleback Park. Il che ci riporta all’autunno del 1983.
Forse più di ogni altra cosa il pilota di origini scozzesi voleva far parte del Team USA e rappresentare gli Stati Uniti al Motocross e Trofeo delle Nazioni. Occorre, tuttavia, tornare indietro di un paio di anni ancora, quando nell’autunno del 1981 un giovane team americano composto dagli ufficiali Honda Johnny O’Mara, Donnie Hansen, Chuck Sun e Danny LaPorte sbalordì il mondo vincendo sia il Trofeo (dedicato alle 250cc) sia il Motocross delle Nazioni (500cc). A tutt’oggi quelle vittorie sono considerate tra le più sconvolgenti della storia del Motocross (che tra l’altro è diventato uno sport ufficiale con il Motocross des Nations del 1947 a Wassenaar, in Olanda). L’anno dopo (1982) Honda rimandò al Nazioni il suo team e l’America vise di nuovo. All’improvviso in due anni il Motocross e il Trofeo delle Nazioni diventarono un grosso affare in America, al punto che per il 1983 l’American Motorcycles Association dichiarò che ogni costruttore avrebbe dovuto mandare al Nazioni un proprio pilota. Il Team Kawasaki e Roger De Coster, che ancora una volta avrebbe ricoperto il ruolo di capitano della squadra, concordarono su Jeff Ward, affermato pilota sia nel Nationals 125 sia nel Supercross 250.
Il resto è storia. Il Team USA vinse a mani basse il Nazioni dell’83 come le sette edizioni successive, durante le quali Jeff Ward venne convocato ben sei volte.
Come la storia racconta
Alla fine, Jeff Ward vincerà sette titoli AMA Nationals diventando l’unico pilota della storia a vincere i titoli 125, 250 e 500. Senza contare i due titoli Supercross. Inoltre, si può sostenere che, forse più di qualsiasi altro pilota americano, Ward rappresentò concretamente la più grande ascesa al potere del Motocross negli Stati Uniti che la storia di questo sport abbia mai conosciuto. Orgoglioso di essere un americano e di tutto ciò che ha realizzato in carriera, c’è una cosa particolare che Ward, per certi versi, rimpiange ancora. “Non ne ho mai parlato spesso, ma avrei davvero voluto correre nel Campinato del Mondo – rivela Ward piuttosto sottovoce -. I piloti europei che venivano a correre in America quando ero un ragazzino che dava i primi colpi di gas a Saddleback, erano per me come degli dei. Per me il Mondiale di Motocross era il Campionato con la C maiuscola e avrei voluto vincere il titolo della 500. A quei tempi vincere il titolo della Classe Regina sarebbe stato semplicemente fantastico. Ce l’ho in mente ancora oggi. Peccato non averci provato veramente. Sarebbe stato bello”.
Straordinaria rivelazione di un 60enne californiano che iniziò questa storia sentenziando, “Non c’era futuro perché non era ancora successo”.
(Images Olivier De Vaux e archivio Motocross)