2011-2015. KTM Supercross Story (seconda parte)
di Max Mones
Ryan Dungey era la prima scelta, fortemente voluta da Roger De Coster in persona. E da KTM, che lo preferì a un certo James Stewart
Congratulazioni per il titolo Supercross.
“Grazie, davvero una stagione grandiosa”.
2012, primo anno in “orange”. Cosa ti ha spinto a passare in KTM?
“Ci sono stati un paio di fattori. Mi è sempre piaciuto lavorare con Roger De Coster, ho sempre ammirato quanto ha fatto nella sua lunga carriera. E penso che anche a Roger piacesse lavorare con me. Quando mi ha confidato che stava assumendo il ruolo di Team Manager al Red Bull KTM Factory Racing sapevo che continuare a collaborare con lui sarebbe stata per me un’occasione. Ma quando Roger iniziò con KTM avevo ancora un anno di contratto con Suzuki, quindi, ho aspettato che scadesse e sono passato a KTM”.
Nel 2012 KTM non era praticamente ciò che è oggi. Rischio calcolato oppure ti sei buttato a occhi chiusi?
“Sapevo sarebbe stato un rischio. Prima di quell’anno KTM non aveva avuto molto successo in America e ho trattato consapevole di ciò. Tuttavia, ci sono stati anche molti aspetti positivi che hanno pesato sulla mia decisione. KTM in Europa stava dominando nel Motocross, ciò significava che aveva il potenziale per far bene in America, che si sarebbe impegnata a fondo per essere competitiva anche qui. Sapevo anche che Roger De Coster non si sarebbe preso il rischio di passare a KTM senza prima avere qualche garanzia sul fatto che in Austria avessero un progetto solido per correre in America. Roger è in questo ambiente da sempre, ha fatto parte di molti team di successo, quindi, sapevo che KTM era fortemente intenzionata a spingere forte negli USA. È stata la combinazione vincente De Coster-KTM farmi passare da loro”.
De Coster è stato quindi fondamentale nel tuo passaggio a KTM?
“Conosco abbastanza bene Roger da sapere che non mi avrebbe chiesto di prendere una decisione del genere in un momento così cruciale della mia carriera senza prima sincerarsi che il progetto potesse funzionare”.
Quando la prima volta hai provato il prototipo 450, cosa hai pensato?
“In KTM avevano fatto un buon lavoro, in così poco tempo sviluppato una buona base da cui partire. Roger e KTM progettarono una 450 abbastanza buona per essere competitivi da subito”.
Ti ha sorpreso la velocità di risposta di KTM all’inizio del progetto?
“Sono stati impressionanti a fare tutto così in fretta. I tecnici in Austria ascoltavano attentamente le nostre informazioni e regolarmente si presentavano in America per sincerarsi in prima persona su ciò che il team stava facendo e per capire ciò di cui avevamo bisogno. Hanno lavorato settimane e settimane senza sosta continuando a sviluppare la moto. La 450 di quest’anno non è altro che il risultato di tre anni di gare e di nostre indicazioni. La nuova KTM 450 Factory Edition è impressionante e mi ritengo fortunato far parte di un’azienda così grande”.
Quando nel gennaio 2012 ad Anaheim1 ti sei presentato in pista sulla KTM, come hanno reagito i tuoi fans e l’ambiente del paddock in particolare?
“Ci sono stati sicuramente gli scettici, come normale che sia ogni volta che nel nostro sport cambia qualcosa. E ciò che rende tutto più interessante. Si fanno delle scelte e se ne prendono i rischi, funziona così. Ma come ci sono stati i dubbiosi, ci sono stati anche molti sostenitori e sono contento che nel tempo siamo stati in grado di regalare loro successi di cui vantarsi”.
Il primo anno con KTM non è andato poi così male. Sei partito subito fortissimo e già al secondo round hai ottenuto la tua prima vittoria con una KTM. Cosa hai pensato quella sera sul podio di Phoenix?
“Un momento della mia carriera molto emozionante, un sospiro di sollievo vincere così presto. Ripagò Roger, me e tutta la squadra dei rischi presi. Stare in piedi sul podio, vedere i tifosi applaudire e guardare le facce sorridenti di tutti i ragazzi del team è stata la dimostrazione che passare in KTM ne era valsa la pena. Credo che a qualcuno dei ragazzi sia scappata pure una lacrima. Mesi di duro lavoro da parte di tutti, negli Stati Uniti e in Austria, avevano appena dato i loro frutti e in quel momento abbiamo capito di essere sulla strada giusta. Una bella sensazione”.
Dopo il terzo round a Los Angeles avevi già sulla tua KTM la tabella rossa di leader.
“Grande emozione, ero orgoglioso di mostrarla sulla mia KTM già al primo anno. Ma avevamo ancora tanta strada da fare, sapevamo di non poterci soffermare troppo su quel traguardo e di dover guardare avanti”.
La stagione Supercross 2012 stava andando alla grande, poi però ti sei infortunato alla clavicola. Credi che senza quell’incidente di percorso avresti potuto vincere il titolo SX già al primo anno con KTM?
“Quell’infortunio è stato difficile da mandar giù, soprattutto perché ero in lizza per vincere il Campionato. Ero in un buon momento, stavo guidando davvero bene. Anche Villopoto stava andando forte, chissà cosa sarebbe successo se non mi fossi infortunato. Anche Villopoto verso fine stagione si era fatto male, ma ormai avevo perso troppe gare per recuperare il gap da lui. È andata così, gli infortuni sono un boccone amaro, ma fanno parte del nostro sport”.
Nel 2013 sei arrivato ancora terzo in Supercross ma qualcosa non ha funzionato come l’anno prima. Hai vinto solo due gare rispetto alle quattro del 2012 e con più round all’attivo. Problemi?
“Non direi di avere avuto grossi problemi, semmai dettagli. Il primo anno tutto era nuovo, eccitante, ogni passo fatto era indirizzato per quella stagione. Ma il secondo anno è stato più una questione di affinare la moto e penso che in alcune aree non eravamo perfettamente a posto. Il punto è che molti piloti della 450 andavano veramente forte. Credo che la gente non si renda realmente conto quanto anche il minimo miglioramento possa fare grandi cose in una classe così combattuta. Noi eravamo soprattutto ancora in fase di sviluppo della nuova moto, quando abbiamo provato diverse soluzioni non sempre sono state quelle giuste e i miei risultati ne hanno risentito. A volte era frustrante. Strappare qualche decimo alla concorrenza coinvolge molte persone e necessita di una buona comunicazione fra me e il team, ma non sempre è così facile spiegare a parole ciò che senti in moto e il lavoro del team è quello di tradurre le tue sensazioni in cambiamenti significativi sulla moto. A volte siamo andati nella direzione giusta, altre no”.
Nel National 2104 tu e Roczen avete combattuto colpo su colpo fino alla fine del Campionato. Uno spettacolo pazzesco per tutti i fans di motocross.
“Sì, una bella lotta fino all’ultimo. Un bene per il nostro sport e per tutti gli appassionati. Avere due piloti sui primi gradini del podio per tutta la stagione è stata un’immagine incredibile per KTM”.
Quest’anno (2015) Roczen è passato in Suzuki. Hai avvertito maggior pressione a essere il solo pilota di punta KTM?
“Non proprio. Già i primi due anni in KTM ero l’unico pilota del team, quindi tutto normale. Sfortunatamente Dean Wilson si è infortunato a inizio stagione, di conseguenza mi sono ritrovato l’unico pilota in 450. Ma nulla di diverso da prima”.
Ritieni che la partenza di Roczen ti abbia in qualche modo fatto bene? Hai avuto problemi di convivenza con lui?
“Come ho detto, correvo nella 450 ancor prima del passaggio di Roczen. Per me era una situazione del tutto normale. Con Ken sono andato d’accordo sia in pista che fuori, quindi, non ho motivo di parlare di problemi con lui”.
Nelle prime tre gare Supercross di quest’anno (2015) Roczen è andato fortissimo. Ti sei preoccupato?
“A inizio stagione tutti vanno forte, pure Ken. Ma sono in questa classe da troppo tempo per sapere che 17 round richiedono un sacco di concentrazione ed energie per uscirne indenni. Mantenere la condizione e salire sul podio ogni fine settimane richiede costanza e rimanere in salute. Il fatto che Ken sia partito forte è stato un bene sia per la competizione sia per elevare il livello della concorrenza che ha continuato a spingere. Nella 450 c’è una mezza dozzina di ragazzi in grado di vincere in qualsiasi momento. Ma vincere un campionato richiede molto più che andare forte una o due gare. Occorre esserci ogni fine settimana”.
Ad Anaheim3 è iniziata la tua scalata al titolo SX. In totale hai ottenuto sei vittorie e 16 podi su 17 gare, uno score fantastico, il tuo best in carriera.
“È stata davvero un’ottima stagione, per me e per tutto il Team Red Bull KTM. Quest’anno ho cambiato molte cose e con la nuova KTM 450 Factory Edition siamo stati in grado di portare a casa il titolo. Ho avuto anche la fortuna di lavorare con Aldon Baker, i cambiamenti che ha portato al mio programma di allenamento hanno riempito le lacune di cui lamentavo in passato. Ho guidato come mai prima d’ora”.
È stato un vantaggio non avere avuto come avversari Villopoto e Stewart?
“Il Campionato è fatto da piloti che ci corrono e se fossero stati entrambi della partita, li avrei sfidati né più né meno di quanto ho fatto con Roczen, Tomac, Seely, Canard e tutti gli altri per tutte le 17 gare. Quest’anno ha detto bene a me”.
Dall’ottobre 2011 (quanto firmasti con KTM) a oggi (2015), quanto è cambiato Dungey?
“Penso che negli ultimi anni sia cresciuto molto, ho individuato i miei punti di forza e quelli deboli e da lì ho lavorato. Ho imparato molto su me stesso, sulla moto e fatto enormi progressi nella preparazione. Ho inoltre instaurato ottimi rapporti e amicizie col mio gruppo di lavoro, non cambierei nulla degli ultimi quattro anni”.
E quanto è cambiata KTM?
“È bello vedere che l’azienda si è sviluppata molto negli Stati Uniti. Mi sento fortunato di far parte del movimento KTM in America”.
Alla fine, è stata la scelta giusta?
“Senza dubbio!”.
(images KTM/Cudby)