SUZUKI RM125 TEAM RINALDI 1989
di Zep Gori
Hawkstone Park, Alex Puzar è terzo e cade in un tratto sabbioso. Aldini aspetta che rientri, ha già pronta la canna forcella per raddrizzargli il manubrio, ma invece Sandro inforca la via dei box. Sotto la tenda prende a calci il mondo, quando arriva Iller è troppo tardi, Sandro è solo indiavolato: “Porcaputtana… venti milioni buttati via!”
Iller è di un altro avviso: “Cosa dici? Venti punti… buttati via! Ma Sandro era così, aveva sempre il dollaro lì davanti. Quell’anno e pure l’anno dopo lo pagavano un milione a punto, e quei soldi li pagava la Axo, poi aveva l’ingaggio della Chesterfield. Era quella la sua benzina”.
Dietro la moto che poteva vincere il mondiale 125, al pilota che stava per esplodere nel mondo, c’è lui, c’era lui, sempre lui. Quell’Iller Aldini che aveva già fatto girare cacciaviti e flessibile per il Michele Rinaldi pilota della TGM, della Suzuki e team manager della Yamaha.
“Puzar ha perso il mondiale quel giorno in Inghilterra, perché Parker e KTM l’hanno vinto con sei punti di vantaggio, e con la velocità di Sandro in quella stagione credo che avrebbe potuto rimontare e prendere almeno 7-8 punti”.
Non c’è amarezza o rimpianto. Iller è sereno, si diverte ancora quando ripensa quella stagione. Le soddisfazioni in pista e in officina non gli sono mancate.
“L’89 è stata una delle stagioni più belle della mia carriera. Avevo capito quasi subito che Sandro poteva fare bene. Fin dalle prime gare internazionali in Italia ho visto che andava forte. Quando era in una certa condizione, era anche forte di testa. Te ne racconto un’altra, sempre quell’anno. Nazioni ’89, andiamo a Gaildorf, in Germania. Parker col 250 e Puzar col 125 (poi Fanton anche lui col Suzuki 250 Carpimotor). Nella prima manche era andato bene ma Kiedrowski, ufficiale Honda 125, gli caccia una discreta paga. Per la seconda manche tiro fuori la moto dalla tenda, arriva Michele (Rinaldi) a dargli una pacca sulla spalla e gli fa: ‘Oh… cerca di ripetere la prima manche’. Sandro si gira di scatto e: ‘Americani di merda, adesso ti faccio vedere io chi è Alessandro Puzar!’”.
Ti sei emozionato più con Sandro che con Michele?
“Per forza! Era quel pilota che faceva sempre qualcosa di più di quanto ti aspettassi. Se si impegnava non ce n’era per nessuno. Non sempre si è gestito bene e tante stagioni ha fatto poco, ma sicuramente avrebbe potuto vincere 5-6 mondiali. Si è buttato via per qualche stagione, poi è tornato a posto e con Maddii ha vinto un mondiale 125 con una Honda standard. Avrebbe ancora potuto vincere di nuovo con la Yamaha quattro tempi e con la Husqvarna 125 se non si fosse rotto la clavicola”.
Era standard anche questa Suzuki dell’89?
“Non proprio. Era una bella moto. La base era di serie, ma Suzuki aveva preparato un kit – testa pistone cilindro e scarico – che portava il motore a un buon livello, e la ciclistica era superiore alla KTM di Parker”.
Contestualizziamo un attimo: dietro quella KTM non c’era solo il Ferro e il Team Farioli. C’era tutto il reparto corse di Mattighofen?
“Sì, avevano lavorato molto e il loro motore aveva più schiena. Avevano fatto qualcosa per l’equilibratura dell’albero, aveva un suono molto cupo, si diceva avessero un albero motore a bilanciatura variabile con delle sfere mobili. Non so se sia vero, ma sicuramente il motore di Parker aveva più tiro del nostro. Per la moto di Puzar avevo preso le sospensioni della Suzuki ufficiale 250 di Rodney Smith dell’anno prima e Sandro era contento. Si era trovato subito bene quando è arrivato da KTM. Diceva che la Suzuki era più facile, nell’insieme più gestibile, era contento della moto. Sandro era molto noioso sulle sospensioni. Per la scorrevolezza della forcella aveva una fissa, gli avevo dovuto montare un pulsante per spurgare l’aria dai tappi degli steli.
Quello è stato l’anno decisivo. Poi le due stagioni dopo – ‘90 e ‘91 – credo sia stato il pilota più forte al mondo. Non dico che avrebbe potuto ripetere quanto fatto da Bayle, perché per vincere in America avrebbe dovuto adattarsi prima a un’ambiente e uno stile di vita diversi. E Sandro non è stato quel pilota capace di gestire sempre al meglio il suo privato!”.
Come hai fatto a sviluppare un motore così competitivo senza lavorare con le conferme di un banco prova?
“Si faceva lo sviluppo in pista, come avevo sempre fatto prima che Rinaldi ne comprasse uno col passaggio a Yamaha. Nell’inverno prima avevamo lavorato bene, Puzar era soddisfatto e per quasi tutta la stagione sul motore non abbiamo fatto aggiornamenti. Facevamo comunque molti test, tutte le settimane si provava una lamella in più sull’ammortizzatore, un ritocco alla forcella, magari mi veniva un’idea da fare sul cilindro. Se andava meglio, quello diventava il motore buono. Ma più che sul motore avevamo lavorato soprattutto sulla ciclistica, e pur senza il banco era stato un lavoro importante. Del resto, siamo stati in testa al mondiale. Poi dopo quella manche a Hawkstone Park, Parker è passato davanti. Solo per le ultime due gare la Suzuki ci ha dato pistone e cilindro ufficiali con canna al nichel-silicio e uno scarico con l’espansione allungata. La marmitta andava meglio, il pistone era un pochino più leggero, ma il cilindro era più competitivo il mio, anche se aveva ancora la canna in ghisa, e così si fece un mix”.
Nel 1989 ancora in ghisa?!?
“Guarda che le Suzuki ufficiali dei mondiali di Geboers e Rinaldi avevano ancora la canna in ghisa e hanno continuato a usarla fino a quell’anno. Era ghisa eccezionale, non si ovalizzava mai, ed era ottima anche quella del kit ‘89”.
Insomma, alla fine c’era sempre la tua mano.
“Il passo avanti decisivo, quando ho finalmente potuto lavorare al banco, l’ho fatto nel 1994. Quando Bob Moore ha vinto il mondiale. Quella stagione con Pere (Ibanez) abbiamo capito tante cose. È la moto su cui ho lavorato di più. Di prove ne abbiamo fatte davvero tante. È stato l’anno dove ci siamo fatti una grande cultura. Fino a quel momento avevo lavorato sulla base di quanto imparato alla TGM. Travasi e forme diverse, prove di accensione, profili delle testate, equilibratura dell’albero. Facevi una modifica, andavi al banco e scoprivi se funzionava o no. Lì abbiamo capito cosa succedeva se facevi quello o quell’altro.
Il passo avanti notevole fu cambiare l’accensione, montando quella della Honda, e poi quando feci il mio primo albero motore. I cavalli quel motore li dava già, però poi in pista ha cominciato a esprimerli quando cambiai la bilanciatura e lo appesantii con del mallory. L’erogazione guadagnò una marcia dappertutto. Fu l’esperienza che poi servì per fare i kit YRRD per i privati. E fu una fortuna per Rinaldi: se ne fecero tantissimi. Però alla fine di tanti esperimenti, il diagramma era rimasto quello. Dai tempi della TGM, il mio diagramma preferito è sempre rimasto lo stesso”.
Con tutti le frese che hai consumato, la giusta magia è rimasta quella delle TGM?
“Sì, è incredibile ma per il cross – gira e rigira – mi son sempre ritrovato a usare lo stesso diagramma. Mi sono evoluto, alcune certezze di un tempo… sono cambiate, tanti dubbi sono diventati certezze. Ho continuato a imparare, ma incredibilmente sono 40 anni che il mio diagramma è rimasto quello.
Ho visto anche gli ultimi cilindri delle Honda ufficiali da velocità, sempre fedeli al traversino, con una cura esagerata dei dettagli, con tutto l’interno dello scarico scavato a controllo numerico per farli tutti uguali, con quella forma interna che serve a vuotare la camera di combustione. Quando feci il motore di Puzar, quello del 250 ufficiale nel 1990, mi ispirai proprio a quelle forme lì. Il grosso dell’evoluzione di quel motore, il passo avanti più grande.
Oh, sembra una cazzata, ma sono 40 anni che io funziono con quel diagramma. Qualsiasi motore che voglio sviluppare, il mio diagramma di partenza è 192° di scarico, 132° i travasi principali, 130° i secondari e quando riesci – perché non sempre si riesce a fare – 128° la terza luce. Dopo magari ti aggiusti, ma quello è il mio diagramma preferito. C’ero arrivato alla TGM e dopo tanti, tanti anni, con tutte le prove fatte, sono ancora lì. E sono le misure del cilindro della Suzuki di Puzar”.
Forse ti conviene giocarli anche al lotto. Quindi sono queste le misure magiche della Suzuki 1989?
“Sì, questa moto del museo Valenti era proprio la mia. Quella che ha finito il mondiale, col cilindro incamiciato in ghisa e l’ultimo scarico”.
Nonostante il titolo sfuggito, è stata quindi una bella stagione? “Una delle più belle. Io e Lorella, mia moglie, Gigi Toschi e Puzar. Adesso ti racconto la verità… ormai son passati tanti anni e le cose vanno dette alla fine. La Chesterfield ci aveva obbligato a prendere Puzar. Sandro era già un loro pilota ma lo volevano sulla Suzuki ufficiale, che sponsorizzavano per la sola 250 di Rodney Smith. Michele all’inizio non l’aveva presa molto bene. Puzar masticava tabacco, aveva i capelli lunghi, una fama un po’ discutibile, a Michele non piaceva. Poi ragionandoci sopra mi fa: ‘Allora… io, Carletto (suo fratello) e Pere continuiamo con Smith e la 250, e tu… sai cosa fai? Riprendiamo il vecchio Mercedes 613, gli attacchiamo la roulotte e vai con Loretta. Toschi porta il pilota e facciamo questo mondiale 125”. Per l’inizio della stagione, agli Assoluti d’Italia 250 però non avevamo il duemmezzo anche per Puzar. Allora ho fatto arrivare una Suzuki standard, ho preso una marmitta ufficiale, ho preparato il motore, messo a posto le sospensioni e alla prima gara alla Malpensa Sandro vince subito stando davanti a Smith con la Suzuki ufficiale. Era subito iniziata bene. È stato uno dei più begli anni della mia vita, con Lorella e Toschi era tutto molto familiare, e Sandro che cresceva e andava sempre più forte”.
Niente guai insomma?
“Eh… no! Adesso te ne racconto un’altra. Partiamo per il mondiale. Prima gara in Spagna e Sandro non era andato molto bene, due piazzamenti. La gara dopo andiamo in Portogallo. Io avevo un giubbotto Suzuki bellissimo, tutto ricamato, alla mattina esco con quel giubbotto, mi vede Sandro… ‘ehhh, che bello, me lo devi dare!’. Io… ‘Però… dai… ho solo questo, me l’hanno regalato alla Suzuki…’ ma lui insiste. ‘Sai cosa facciamo? Se domenica vinci due manche, te lo regalo’, sicuro che tanto non avrebbe vinto. Parte la prima manche, Sandro va in testa e mentre passa dalla pit-lane con la mano sventola la maglia per farmi capire ‘il giubbotto è mio!’. Vince anche la seconda manche, e sempre a sventolarmi la maglia. Mi son detto… porcatroia… gli devo dare il giubbotto e cosa fa quel pirla?! Va sul podio col giubbotto Suzuki.
Lunedì telefona Matilde Tomagnini, manager della Chesterfield, e… ‘vi togliamo la sponsorizzazione: Puzar è andato sul podio senza la maglia Chesterfield!’. Quella volta lì… è venuto fuori un casino… ‘ma su… il ragazzo è giovane, la colpa è stata mia’. Alla fine, il giubbotto me l’ha ridato, così di cappelle non ne faceva più.
Sì, è stato uno degli anni più belli della mia vita. È stato bello lavorare così, con Lorella, con Gigi, c’era una grande armonia. E Sandro che si impegnava, lavorava tanto. Sapeva adattarsi alle piste, aveva un gran fisico, ma si allenava tanto e anche se non abbiamo vinto il mondiale nel 1989, il titolo è arrivato l’anno dopo. Quando ha dominato con la Suzuki 250”.
Ma quella è un’altra moto e un’altra storia.
(Images Davide Messora)