YAMAHA YZ 125 TMD CHICCO CHIODI 1997 WORLD CHAMPION
di Max Mones
Non era così usuale al tempo vincere un titolo Mondiale con una moto derivata dalla serie. La Yamaha di Chicco Chiodi fu la conferma dell’ottimo lavoro di Claudio De Carli a dispetto dei colossi giapponesi.
Nelle varie epoche che si sono susseguite, la classe 125 del Mondiale di Motocross è quasi sempre stata contraddistinta da importanti investimenti da parte delle Case costruttrici. Nella più piccola delle tre cilindrate, Suzuki ha scritto un capitolo storico che va dai titoli di Gaston Rahier a quello di Michele Rinaldi, passando per gli allori di Akira Watanabe, Harry Everts ed Eric Geboers. Alla fine di quella gloriosa decade per la Casa di Hamamatsu (1975-1984), incominciarono a farsi avanti le Gilera ufficiali di Maddii e dello stesso Rinaldi e le Cagiva di Vehkonen, Strijbos, Contini e ancora Maddii progettate sempre dall’ingegner Jan Witteveen, moto laboratorio che poco avevano a che spartire con la produzione di serie.
Vennero poi gli anni di Yamaha (Van den Berk), Honda (Bayle) e KTM (Parker), che preannunciarono il ritorno di Suzuki (Schmit, Everts, Tragter). Yamaha tornò a vincere con Moore e Honda fece altrettanto dapprima con Albertyn, poi con Puzar nell’indimenticabile duello all’ultimo sangue con Chicco Chiodi al GP di Reil.
Tuttavia, a differenza del fatto che fino a quel momento vincere il titolo classe 125 era esclusiva delle moto ufficiali, o molto vicine a esserlo (i kit clienti erano pur sempre a disposizione dei team in orbita costruttore), Puzar vinse con una CR 125 preparata nell’officina di Corrado Maddii, che di certo non poteva vantare risorse tecnico-economiche al pari dei centri ricerca giapponesi.
Lo stesso valse per la Yamaha YZ 125 Campione del Mondo nel 1997 con Chicco Chiodi, frutto delle riconosciute doti tecniche di un altro “guru della lima” come Claudio De Carli. Fu davvero una svolta per l’epoca, significava che con una moto di derivazione standard preparata con tutti i crismi si poteva combattere ad armi pari con le superdotate e supercostose moto factory o semi-factory.
MARCHIO DI FABBRICA
Sul carter accensione della Yamaha di Chicco è stampato l’acronimo TMD che sta per Team MotorShow De Carli. Su quel carterino ci fu una diatriba fra lo stesso De Carli, che rivendicava la paternità della Yamaha Campione del Mondo, e Michele Rinaldi, allora fornitore ufficiale dei pezzi speciali a firma YRRD (Yamaha Rinaldi Research and Development). Solo che De Carli, una volta provato il kit del manager parmense, decise di farselo in casa propria.
Il Team TMD del Mondiale del 1997 era composto da Claudio De Carli direttore tecnico, Sandro Celestini direttore sportivo nonché main sponsor come concessionaria Yamaha MotorShow di Civitavecchia, Chicco Chiodi e Luca Pretto i piloti, Nazareno Properzi e Lino Tesorone i meccanici. Fu proprio Nazareno Properzi a sostenere con De Carli la candidatura di Chiodi appena lasciato libero da Rinaldi dopo un ’96 di poche luci e tante ombre.
Gli sponsor della squadra corse romana erano Yamaha Belgarda, Elf Lubrificanti, DCS Ascensori (l’azienda della famiglia De Carli attiva tutt’oggi), Ufo Plast, Bieffe Helmets, Gaerne, Panificio d’Ippolito, Resport (abbigliamento), Regina (catene), Champion (candele), DLR (silenziatori), AFAM (pignoni e corone), Tecnosel, Pirelli, Twin Air, Solva, LLS Titanium (bulloneria), Tommaselli-Domino, Vertex (pistoni).
La stagione ’97 vide Chicco Chiodi sempre al comando della generale dal primo all’ultimo Gran Premio. In Inghilterra, a Foxhill, esattamente a metà campionato, la sua Yamaha ebbe un’ulteriore evoluzione grazie alla quale mise a segno la seconda doppietta di manche dopo quella ottenuta alla prima prova in Indonesia. Il fango però Chicco non lo digeriva bene e, infatti, prima a Bellpuig, poi a Gerstetten perse ben 30 punti nei confronti di Puzar, di cui 20 solo in Germania. Al di là di questa comprensibile flessione, il rendimento di Chiodi fu impeccabile: 8 vittorie di manche, 8 secondi posti, 5 GP vinti, 378 punti contri i 338 di Sandro, allora ufficiale TM nel team diretto da Bertino Castellari.
A proposito di fango, intervistato dal nostro Edoardo Pacini, De Carli a titolo conquistato di espresse così: “Da quando ho preso Chicco ho pensato che saremmo riusciti a vincere il Mondiale nonostante fossero in molti a considerarlo un eterno secondo. Si diceva che non avrebbe sopportato la pressione di Puzar. Chicco veniva inoltre da una stagione in duemmezzo poco esaltante, ma ho creduto in lui come lui ha creduto in noi… Avevamo pronosticato di vincere il titolo prima della gara in Olanda, invece, ci siamo riusciti con una sola manche di anticipo perché sul fango non siamo andati sempre molto bene”.
Per preparare la gara di Lierop, tutto il Team TMD si trasferì in Olanda già nel mese precedente al Gran Premio di Finlandia, a Vantaa (dove Chiodi vinse), per non lasciare nulla al caso, ben sapendo che Puzar su quel fondo sarebbe stato un brutto cliente. Si lavorò molto per trovare il setting giusto delle sospensioni con i consigli di un esperto come Roland Solva, e sulla sabbia di Lierop Chicco sorprese tutti.
Lo stesso Joel Smets a fine gara si complimentò col neo Campione del Mondo 125 proprio per la maniera in cui interpretò quell’inferno di buche. E pensare che in una stagione apparentemente senza intoppi Chiodi subì una microfrattura dello scafoide della mano sinistra durante un allenamento alla vigilia del Gran Premio di Foxhill. Si tenne tutto in gran segreto fino a Mondiale concluso per non dare agli avversari il classico vantaggio psicologico.
HANDMADE
Il pezzo forte della Yamaha YZ 125 TDM è più di uno. A cominciare dal motore che De Carli aveva plasmato sulle caratteristiche di guida di Chicco: erogazione fluida, tanta schiena ma gestibile, senza vuoti di potenza in transizione. Monta un carburatore Mikuni TMX da 38, 2 mm di diametro più grande il tubo Venturi di quello di serie di allora, lo stesso in uso sulla YZ 250 standard. La testa da fusione presenta delle alettature che insieme al radiatore sinistro di maggior volume assicuravano una migliore dissipazione del calore: se tiri il collo a un 125 per 45 minuti, specialmente su piste di sabbia come Lierop, il motore grida vendetta se non è refrigerato a dovere.
Il pistone era speciale Vertex, più compresso. De Carli faceva tutto o quasi da sé, ricalibrava diagrammi e travaseria del cilindro, faceva realizzare teste scomponibili con corona di squish dedicata, pistoni con diverse tolleranze, alberi ribilanciati, carter ottimizzati, rapporto di compressione rivisto, ci fu un costante lavoro di affinamento e di test in pista durante tutta la stagione Mondiale, non ci si fermò mai.
De Carli intervenne anche sulla centralina, aveva progettato un fornellino per sciogliere il bagno di resina a tenuta stagna e modificare giri e anticipo. Per la Yamaha 125 di Chicco, De Carli dichiarò al tempo una potenza massima di 39 cavalli all’albero raggiunti a 12.500 giri, 1.500 giri in più rispetto al motore di serie più corto di erogazione, ma comunque già di per sé rotondo, elettrico.
Le caratteristiche di base della moto di Chicco erano molto vicine a quelle standard, i giri in più servirono a portare più potenza in un range di erogazione più ampio e spostato verso l’alto. In salita aveva il suo effetto grazie alla possibilità di inserire un rapporto senza soffrire il calo di potenza. Era un motore che teneva la marcia, dote fondamentale per le 125 di allora che si usavano dai 9.000 giri in su. Oltrepassare il limite di 1.500 giri significava anche una migliore percorrenza in curva, quei metri in più in uscita che facevano la differenza.
Gruppo frizione originale con dischi e molle ottimizzati per stacco preciso, durata e modulabilità, corona Afam da 48 denti in alluminio, scarico artigianale realizzato da Messico e silenziatore DLR full carbon con fondello in titanio. Dello stesso materiale nobile furono realizzati anche il telaietto reggisella, le pedane rialzate e tutta la bulloneria, mentre il serbatoio benzina in alluminio aveva una capacità intorno ai 7,5 litri: per 45 minuti di manche sulla sabbia o sul fango occorreva un distributore di benzina.
Impianto freni Nissin standard con dischi originali, di cui l’anteriore alleggerito nelle alettature. Anche i cerchi erano di serie con trattamento di anodizzazione, carter e mozzi sabbiati e induriti, il telaio originale anche nelle quote, nessuna modifica all’inclinazione del cannotto di sterzo, giusto un manubrio più stretto di 3 cm rispetto agli 82 cm dello standard. La moto di Chicco pesava 90 chili, quasi al limite degli 89 kg imposti da regolamento FIM a quei tempi, anche grazie alla forcella Solva molto leggera.
E qui sta l’altro pezzo forte della Yamaha Campione del Mondo. La forcella Solva a steli tradizionali da 47 mm era molto avanti per l’epoca. Aveva molta sensibilità, era precisa e confortevole nei salti alti, con un fine corsa importante, sostenuto, di grande confort anche all’atterraggio sul piatto. Le forcelle tradizionali di allora avevano il piedino più lungo rispetto al perno ruota, Solva riuscì a realizzarne un pezzo speciale apposta per la Yamaha di De Carli col piedino mozzato, il che dava più precisione nell’inserimento nelle piccole buche e Chicco riusciva a infilarsi in curva parecchio più veloce. Una forcella davvero eccezionale: tanti piloti ufficiali se la sognavano.
Il mono era un Kayaba di serie, si cambiarono diverse molle e tarature dell’idraulica a seconda dei Gran Premi, De Carli non smetteva mai di lavorarci sopra. Si provarono in merito tante soluzioni, persino un ammortizzatore Öhlins e anche quello speciale di Solva, ma alla fine il mono standard modificato diede più garanzie.
“Il motore mi piaceva abbastanza rotondo, non scorbutico, molto di gas, molto preciso in curva – ricorda Chiocco Chiodi -. Non ero uno smanettone, avevo bisogno di un motore del genere, guidabile, molto fluido e alla fine pagava. Durante la stagione ’97 non abbiamo mai avuto seri problemi tecnici, ricordo al GP in Slovacchia avevo appena tagliato il traguardo della seconda manche e la moto si ammutolì di colpo. Pensare che fino a quel momento non aveva dato segni di cedimento. Quella di Velke Uhrce era una pista fangosa, pesante, ma quando giri non stai a pensare che la moto può lasciarti a piedi, dai gas e basta. Ovvio che se ti accorgi di un calo di motore cerchi di portare a termine la manche nel migliore dei modi. Ma quella volta la moto rese per tutti i 45 minuti, poi dopo il traguardo morì. Quando si dice la fortuna”.
(Images Davide Messora)