Sebastien Tortelli. La stella che brillò a metà
di Eric Johnson e P.H.
La rapida ascesa nei GP di Motocross e l’altrettanto veloce declino nella scena americana.
Sabato 10 gennaio 1998 quel terribile fenomeno climatico più infelicemente chiamato El Niño si presentò minaccioso strisciando sinistro dall’Oceano Pacifico alle porte del Coliseum di Los Angeles per il round di apertura dell’AMA Supercross. Quella desolata mattina, sferzata dall’incessante pioggia, i vari team iniziarono a invadere l’area dei box che costeggiava l’antico e cavernoso stadio californiano, sede gloriosa delle Olimpiadi del 1932 e 1984.
A mezzogiorno la situazione meteo andò peggiorando: spaventosi banchi neri di acqua scrosciante trasformarono la pista in qualcosa molto vicina al cioccolato fuso. Informato il paddock che nulla sarebbe successo in tempi brevi per quanto riguardava le prove libere, tutti i piloti, vestiti in abiti borghesi, si aggiravano all’interno dei confini puliti e ben illuminati delle rispettive hospitality in attesa di ulteriori comunicazioni.
Uno di questi, quasi anonimo ai fan americani a quel tempo, si chiamava Sebastien Tortelli. Tuttavia, quei pochi che lo conoscevano sapevano del suo straordinario talento e della sua dedizione allo sport. Campione del Mondo 125 del 1996 per il Team Kawasaki di Jan DeGroot, il giovane francese era letteralmente nato e cresciuto per assurgere alla ristretta cerchia degli indimenticabili. Uno dei maggiori talenti di quell’Accademia del Motocross Francese appositamente voluta da Jacky Vimond (Campione del Mondo classe 250 del 1986), Tortelli fu in qualche modo il “prescelto” per rafforzare la resistenza francese contro il dominio totalitario americano in questo sport, una resistenza che includeva i connazionali Mickael Pichon e Frederic Bolley, entrambi presenti al Coliseum per l’apertura della stagione Supercross di quell’anno.
Nonostante nel 1997 vinse sette Gran Premi da rookie nella classe 250, quella stagione Tortelli subì nel GP del Venezuela (Maracay 13 luglio, 11° round) una frattura alle vertebre che lo costrinse ai box parecchi mesi. Tuttavia, quel 10 gennaio del 1998 si presentò negli Stati Uniti, pronto a disputare i primi sette round del Supercross Americano prima di far rientro in Europa per correre il Mondiale 250cc.
Solo alle 4 di pomeriggio la pioggia smise di abbattersi sul Coliseum e si diede così inizio alle prime prove libere. Roger De Coster, i piedi immersi nel fango fino agli stinchi, con una smorfia sul viso esclamò scuotendo la testa. “Che casino, stasera sarà una roulette”. Mai profezia fu più azzeccata!
Quella sera la prima uscita di Sebastien Tortelli era programmata per la heat numero 2 su una pista che assomigliava più a una palude (il sottoscritto EJ, osservando la gara dallo scuro pavimento dello stadio, stava inzuppato nell’acqua fino alle ginocchia ai piedi del famoso salto del Peristilio). La gara di Tortelli durò solo due curve prima che si ingarbugliasse con il “factory” Phil Lawrence e rovinassero entrambi a terra. Tornato ai box, Seb si tolse l’abbigliamento Oxbow sporco e cominciò a raschiare via il fango dalla sua KX250 numero 103.
In semifinale il destino volle che Bolley e Tortelli si ritrovarono appaiati alla prima curva dopo la partenza con la moto #103 in testa. Stretto nella morza del fango, per un attimo Bolley perse lo slancio e Tortelli gli scappò via andando a vincere facilmente la gara.
Davanti a una folla di oltre 60mila spettatori in piedi e con le chiappe bagnate, Doug Henry e la sua Yamaha YZ400F 4 tempi si presero l’holeshot, con Jeremy McGrath al secondo posto e il Campione in carica Jeff Emig al terzo, tallonati da Kevin Windham, Damon Huffman, Pichon e dal tre volte Campione del Mondo Greg Albertyn. Tortelli, purtroppo, arrancava al 12°. Non estraneo al fango, il francese cominciò a risalire la china, fino a quando al 15° giro rimosse prima McGrath dalla terza piazza mentre questi si tuffava nel Peristilio e, un giro più tardi, fu la volta di Emig a doversi arrendere di fronte alla superiorità di Tortelli, fortemente intenzionato ad andare a prendere anche Henry. A due giri dalla bandiera a scacchi, Seb agganciò l’ufficiale Yamaha che superò in un doppio salto per passare in testa e, un giro più tardi, andò a vincere la gara.
“Sono molto felice per me – esclamò, allora, Tortelli dal podio – ma soprattutto per il mio meccanico Craig Monty. La moto era perfetta, sono il suo primo pilota che segue in carriera e questa era la sua prima gara ufficiale. Quindi, è andato tutto alla grande”.
Quando gli fu chiesto se la vittoria potesse fargli pensare al titolo di Campione Supercross, Tortelli rispose: “Mah, ho un contratto, è Kawasaki che decide. Questa è stata solo la prima gara. Ce ne saranno altre: ne farò sette in tutto, poi vedremo”.
Alla fine di quella prima esperienza americana Sebastien Tortelli tornò sul circuito dei Grand Prix, dove vinse il Campionato del Mondo 250 al termine di un entusiasmante duello con Stefan Everts nell’ultimo round in Grecia, sapendo già che alla conclusione di quella stagione si sarebbe ripresentato negli Stati Uniti con un contratto da pilota ufficiale Honda. Tuttavia, Tortelli negli States vinse un considerevole numero di gare nel Motocross National, ma mai più un round di Supercross.
RITORNO AI GP
Nel 2006 Seb Tortelli concluse la sua avventura negli Stati Uniti dopo una serie di stagioni costellate da infortuni, per riunirsi di nuovo a quel mondo che lo aveva lanciato come Campione. La sua storia nei GP iniziò, infatti, nel 1995 – suo primo anno full time – dopo un breve assaggio della seria iridata pochi mesi prima. E subito dimostrò il suo immenso talento chiudendo il campionato della classe 125 in terza posizione alle spalle dei nostri Alex Puzar e Chicco Chiodi. I segnali c’erano tutti, forti e chiari. Il primo titolo iridato per Tortelli, infatti, non tardò ad arrivare. Dodici mesi più tardi si laureò Campione della ottavo di litro, sempre in sella alla Kawasaki del Team De Groot, col quale tentò l’anno successivo la scalata al Mondiale classe 250.
“Il 1998 è stato un anno fantastico, di cui conservo i ricordi più belli, probabilmente la mia migliore stagione di sempre, ma anche la più dura. Contro Stefan ho avuto gare difficili. Un paio di GP sono stati davvero speciali per me, ma quello in Grecia sicuramente uno dei più indimenticabili. Quell’anno, oltre che dai miei genitori, ero seguito da Jacky Vimond; lui aveva perso un titolo Mondiale per un punto e continuava a ripetermelo, di modo che non cadessi negli stessi errori. ‘Qualunque punto tu possa ottenere – mi diceva – ricordati che non devi mai lasciarlo andare’, e questo è quello che ho fatto”, spiega Sébastien che a fine stagione lasciò l’Europa per rincorrere uno dei suoi grandi sogni: l’America. “Jan De Groot sapeva da tempo che volevo trasferirmi negli Stati Uniti; sin dall’inizio della nostra collaborazione gli era chiaro quanto amassi il Supercross. Nel ’96 avevamo firmato un contratto di quattro anni, molto lungo per l’epoca. Avevo solo 16 anni, eppure avevamo molta fiducia l’uno dell’altro; Jan aveva visto qualcosa in me e con Kawasaki mi diede una grande opportunità. Era consapevole che desideravo correre nel Supercross e già nel ’97 gli dissi che indipendentemente da come sarebbe finita la stagione, l’anno dopo mi sarei trasferito negli States”.
C’era un rapporto molto forte tra Sébastien, Jan De Groot e la moglie Ellen; il manager olandese e consorte consideravano Seb come un figlio. “Jan, la moglie Ellen e Vimond mi aiutarono a diventare un pilota professionista e un uomo. Quando entrai nel Team Kawasaki andavo ancora a scuola a Parigi. L’Olanda non era poi così lontana da Parigi, quindi trascorsi molto tempo a casa loro, sotto lo stesso tetto. Mi insegnarono molto aiutandomi a diventare Campione del Mondo. Di persone come Jan non se ne incontrano più; quando scomparse ci soffrii molto. Anche una volta andato negli Stati Uniti rimanemmo sempre in contatto, lui mi era stato sempre vicino e quando seppi della sua malattia andai a trovarlo spesso”.
Dopo aver trascorso più di quindici anni negli Stati Uniti tra la carriera di pilota e quella di trainer, Sébastien è tornato in Europa con alcuni progetti sempre in ambito Motocross. “Alla fine del 2018 ho deciso con la mia famiglia di tornare dagli Stati Uniti e ora viviamo in Spagna. Sto allenando alcuni piloti, ed è grazie anche a questo che ogni tanto frequento i GP. È bello essere di nuovo nel paddock del Mondiale, ne è passato di tempo! Molte cose sono cambiate, è diventato molto più professionale. Già quando lasciai l’Europa, stava andando in quella direzione e oggi i GP hanno un aspetto molto professionale. È davvero impressionante camminare nel paddock con tutti queste hospitality. Un grande passo avanti!”.
(images archivio Motocross/Mario Marini e kawasaki.eu)