MXON 1996. L’ALTRO DREAM TEAM
di Eric Johnson
Il mondo intero concorda sul fatto che quello di O’Mara, Johnson e Bailey di Maggiora ’86 rappresenti a tutt’oggi il team americano più leggendario che gli Stati Uniti abbiano mai schierato a un Motocross delle Nazioni. Ma dieci anni più tardi una versione “fac simile” compì un’impresa altrettanto epica…
“Sono della convinzione che quel team fosse migliore del nostro. Mi inchino per quello che seppero fare Steve Lamson e gli altri ragazzi quel giorno. Fu un dominio totale, senza precedenti. Non mi spiego, però, come mai la gente non ne parli poi così tanto”.
Era il sabato 14 agosto del 2010 quando Johnny O’Mara mi fece questa confidenza. Se ne stava seduto sul divano di casa a Laguna Niguel ancora vestito da mountain bike mentre, riprendendosi da un’uscita in bici molto faticosa, era intento a guardare il National di Unadilla.
Ricordo gli feci vedere alcune foto e articoli di riviste che illustravano e parlavano dei Team USA schierati al Motocross delle Nazioni del 1986 e del 1996. O’Mara distolse un attimo gli occhi dalla TV a schermo piatto e, lentamente, riportando la mente a quei giorni, cominciò a viaggiare nel tempo.
Come la storia insegna, il Team America composto da Johnny O’Mara (125), Rick Johnson (250) e David Bailey (500), che domenica 21 settembre 1986 violò le verdi colline di Maggiora, è a tutt’oggi considerato il più imponente spiegamento di forze portato dagli Stati Uniti negli oltre 50 anni di vita del Motocross delle Nazioni. E mentre ogni pilota di quel Dream Team vinse ogni singola gara nella propria classe, fu O’Mara a infiammare il mondo intero piazzandosi secondo al solo compagno di squadra Bailey nella manche combinata 125/500. Ancora oggi l’impresa di O’Show riecheggia nell’aria come la più leggendaria di tutti i tempi. Così come leggendario fu il dominio di tutto il team.
È interessante, tuttavia, notare che un decennio più tardi l’America spedì in Europa un’altra squadra altrettanto forte per disputare la 50.a edizione del Motocross delle Nazioni. Il giorno era la domenica del 22 settembre, l’anno il 2006, il luogo il famoso circuito di MotoGP e Formula 1 a Jerez de la Frontera, nel sud-ovest della Spagna.
Il Team USA di allora era composto da Steve Lamson (125), Jeremy McGrath (250) e Jeff Emig (500) e la pista – gli americani ne furono piacevolmente sorpresi – comprendeva più di dieci salti, uno dei quali un infinito quadruplo in discesa. E mentre gli americani se la ridevano sotto i baffi, i piloti dei GP ne furono mortificati dal momento che il regolamento FIM aveva abolito nel Mondiale di Cross addirittura i doppi salti, eccetto il Nazioni.
“Questo è il Motocross delle Nazioni, non il Supercross delle Nazioni. Ci sono troppi ostacoli da Supercross perché sia una gara equa” fu il commento di un contrariato Joel Smets, vincitore del Nazioni l’anno prima con il Belgio.
Quella domenica gli americani vinsero tutto ciò che c’era da vincere, con Steve Lamson che divenne il primo pilota della storia a riuscire nell’impresa di aggiudicarsi con una 125 il confronto con le 500.
Molto simile a quello del 1986, il dominio americano dimostrò la sua supremazia nel motocross anche a dieci anni di distanza.
Proviamo a riportare alla memoria i ricordi degli uomini che rappresentarono, senza dubbio, tra i più grandi spiegamenti di forze di un Dream Team nei 63 anni di storia del Motocross delle Nazioni.
Jeff Emig (1996 250cc AMA National Champion)
“Fui felice di essere selezionato. Avevo sempre desiderato far parte del team al Motocross delle Nazioni… Quel giorno ero appena uscito dalla più estenuante battaglia di campionato che avessi mai avuto la fortuna di combattere (Emig sconfisse Jeremy McGrath nella gara finale per vincere il titolo National 250 di quell’anno, nda). A quel punto pensai davvero che se fossi rimasto in salute avrei fatto parte della squadra.
Non vedevo l’ora di guidare la 500, era una novità per me. La moto aveva già circa tre anni, Kawasaki la teneva in casa, era la stessa che ogni volta ripresentava al Motocross delle Nazioni (la KX venne messa a disposizione da Jan De Grot con pezzi speciali arrivati dal Giappone, nda). Non ero affatto preoccupato per le performance della moto in Spagna. Battere i piloti della 500 era il mio obiettivo, mi sentivo abbastanza sicuro di riuscirci.
Ricordo che Joel Smets si lamentò del fatto che quello non era il Supercross delle Nazioni. In sua difesa c’è da dire che correva con una Husaberg. Nel Mondiale stava ottenendo risultati incredibili, ma, onestamente, se fossi stato in lui non avrei corso nemmeno un Supercross con quel quattro tempi dal telaio così esile.
Prima dell’evento sapevo che c’era una sorta di resa dei conti tra il Campione Americano 125 Steve Lamson e il Campione del Mondo della stessa cilindrata che era Sebastien Tortelli. Ero curioso di vederli correre, quei due.
In gara1 centrai l’holeshot. Poi dopo qualche giro me li ritrovai addosso incattiviti come pochi. Prima Lamson e poco dopo Tortelli. Li lasciai sfilare, preferivo si scornassero tra loro, volevo vedere chi dei due l’avrebbe avuta vinta. Ci avevo perso un po’ di tempo dietro, anche se in realtà il mio obiettivo non era vincere la manche ma essere il migliore della 500.
La cosa più preoccupante della mia gara fu in effetti guidare quel diavolo di Kawasaki e saltare il quadruplo in discesa. Con una 250 potevi lanciarti in seconda marcia, ma con quella 500 lo affrontavo addirittura in quarta dovendo mantenere una velocità sostenuta dal momento che non potevo contare sullo spunto prima della rampa. Ogni giro dovevo fare attenzione a tenere la stessa andatura, altrimenti non so cosa sarebbe potuto succedere. Faceva davvero paura. L’ultimo salto che avrei voluto affrontare in vita mia con una 500.
Prima di allora, Jeremy non aveva mai avuto una grande reputazione al Motocross delle Nazioni. Ma quel giorno li ammazzò tutti. Vincemmo tutte le manche e tutte le classi, come avevamo immaginato. Non ricordo ci fu una vera e propria coesione tra noi, ma individualmente eravamo convinti di essere i migliori.
Della gara dell’86 a Maggiora se n’è parlato e se ne parlerà in eterno. Se solo fossimo vicini a essere riconosciuti come quella mitica squadra, la cosa mi renderebbe molto felice e orgoglioso per ciò che realizzammo. Personalmente, perdere il Nazioni del 1994 in Svizzera (Roggenburg, nda) fu forse uno dei più grandi dolori della mia carriera. Così, poter tornare a dominarlo nel ’96 fu una sorta di rivincita. Quel giorno non potevano negarci nulla”.
Jeremy McGrath (1996 Supercross Champion/250cc National Vice-Champion)
“Il ’96 fu un grande anno per me, uno dei migliori di sempre. Il Motocross delle Nazioni non faceva differenza. Arrivai in Spagna con la convinzione di essere il migliore al mondo ed ero pronto a dimostrarlo. Mi sentivo in forma, stavo guidando bene, non c’era motivo di perdere quel giorno.
Eravamo a Jerez, sul circuito di Formula1 e MotoGP. Una pista incredibile, probabilmente una delle più belle su cui abbia mai corso. Di solito non mi piacevano le piste in stile europeo, ma quella era semplicemente fantastica. Non credo che avesse così tanti salti come si diceva. Ciò di cui i piloti europei si lamentarono era quel quadruplo in discesa di quasi 40 metri, uno dei più lunghi che abbia mai visto in vita mia.
In verità era un salto facile da chiudere, ma effettivamente spaventava per quanto fosse infinito. Al tempo la FIM abolì i doppi salti nel Mondiale di Motocross e credo che psicologicamente la situazione giocò a nostro favore. Alcuni piloti dei GP provarono a saltarlo col rischio di rompere in due la moto. La parte divertente è che al principio era un quadruplo, ma poi avevano appiattito i salti di mezzo e alcuni europei furono costretti ad atterrare sul piatto.
Nella mia prima uscita in pista, dopo aver accumulato un vantaggio di sette-otto secondi, caddi in un canale picchiando la leva della frizione e il manubrio. Ma nulla di rotto. Nel frattempo, Bervoets mi aveva passato e distanziato di tre-quattro secondi. Rimisi giù la testa e gli andai alla caccia. Come ho detto prima, non c’era possibilità che non vincessi quel giorno. Quella caduta fu l’ulteriore motivo per dimostrare la mia forza. Come ero partito, dovevo arrivare: cioè, davanti a tutti.
Lo spirito di squadra fra noi americani fu comunque buono. Onestamente a casa nostra non ci filavamo molto, ognuno faceva il proprio lavoro senza condividere alcunché con gli altri. Ma al Nazioni ci sentivamo una squadra unita, sul podio provammo distintamente un forte senso di appartenenza.
Il Motocross delle Nazioni in Europa è seguito da decine di migliaia di fans, cosa che in verità non sentiamo qui da noi in America. Non credo si possa provare una sensazione più grande a vincere in quel modo lontano da casa. Normalmente in tutta la stagione di gara sei tu contro tutti gli altri, ma al Nazioni c’è il tuo team, c’è il tuo Paese contro tutto il mondo. Impossibile replicare l’emozione che si prova.
Per me il Team USA del 1986 fu davvero leggendario, avevo appena iniziato a correre nel motocross (prima Mac correva con le BMX, nda) e quei ragazzi erano i miei idoli. La gara a Maggiora fu davvero fenomenale. Non so per quali ragioni la nostra impresa del ’96 non sia paragonabile a quella di dieci anni prima, ma a conti fatti il nostro team fu superiore.
La nostra impresa a Jerez può essere paragonabile a quella che il Team USA compì nell’86. Ovviamente sono di parte, ma credo che i libri di storia siano miopi di fronte a quanto realizzammo io, Emig e Steve quel giorno. Tutti ancora oggi parlano di Maggiora, ma la nostra impresa è paragonabile se non addirittura superiore a quella di quel team.
Purtroppo, quando si parla di Motocross delle Nazioni non ci viene attribuito il merito che ci spetterebbe di diritto. Forse perché la gente non sa esattamente cosa successe quel giorno”.
Steve Lamson (1996 125cc National Champion)
“Il mio primo Motocross delle Nazioni fu nel ’95 (Sverepec, in Slovacchia, nda), arrivai due volte terzo in 125 dietro Tortelli ed Everts. Un risultato un po’ deprimente. Roger De Coster mi fece capire che avrei potuto fare meglio. Davvero una seccatura. Ero andato al Nazioni per vincere. Okay, avevo vinto il mio campionato e Tortelli il suo. C’erano molte aspettative sul mio conto, ne sentivo parlare da tempo, ma fu un bel guaio per la squadra.
Per noi americani quel lungo quadruplo non fu un problema, era piuttosto facile. Tra una sessione di prove libere e l’altra ero in cima a quel discesone a guardare giù assieme a Stefan Everts. Fu divertente perché tranne noi americani, tutti gli altri si erano lamentati del salto, al punto che il promoter del Nazioni decise di eliminare i due salti intermedi riempiendoli. A noi importava poco, continuavamo a fare sempre il quadruplo. Il problema è che qualcuno fuori di testa, con una Husqvarna se non ricordo male, giù da quel salto aveva rotto il telaio in due.
Mio padre ha ancora nel suo ufficio una mia foto in cui spicco il volo su quel saltone. L’aveva presa da qualche rivista. Lo chiusi ogni volta che entrai in pista, anche nelle libere, seppure avessi un 125. Mi ricordava un po’ il salto con gli sci.
All’inizio l’incontro con i 500 fu particolarmente intenso. Ovviamente non potevo sperare di girare per primo la curva dopo la partenza. Ben presto risalii da metà gruppo con Tortelli appena dietro che si stava avvicinando. In quel momento dalla pit mi esposero il cartello ‘secondo’. Significava che l’unica moto davanti a me era la 500 di Emig. In men che non si dica, sia io che Tortelli gli arrivammo a ridosso e ce ne sbarazzammo subito. Nel corso della manche ricordo che pensai… ‘caspita, sto guidando la gara’. Fu davvero una sensazione incredibile.
Ad essere onesti – e ci penso ancora oggi – fu un po’ come l’impresa di O’Mara su Bailey a Maggiora, una delle più grandi storie che il motocross abbia mai raccontato. Ma alla fine O’Mara arrivò alle spalle di Bailey, mentre io sono a tutt’oggi ancora l’unico pilota ad aver tagliato il traguardo del Nazioni per primo con una 125 contro le 500. Un’esperienza piuttosto gratificante.
Niente da dire su O’Mara o Bailey o su tutto quanto accadde quel giorno, so che quella gara dell’86 rimarrà nella storia perché O’Mara con una 125 riuscì a battere l’allora Campione del Mondo classe 500 Dave Thorpe. Ma per me quella storica fu la mia di gara. Io riuscii veramente a battere i piloti della mezzo litro, con Tortelli alle mie spalle. Fu fantastico. Quella pista aveva poi un sacco di saliscendi, quindi non si poteva dire che fosse troppo stile Supercross. Per noi americani non lo era affatto”.
Stefan Everts (1996 250cc World Champion)
“La pista di Jerez era praticamente ricavata sulle colline adiacenti il circuito di Formula1. Quell’anno correvo il Mondiale con la Honda 250 ma per il Nazioni in Spagna salii su una 125. La mia moto non era la migliore in gara. Appena arrivai, la pista sembrava bella, c’erano molti salti. Un po’ sullo stile Supercross, ma per me non costituì un problema dato che avevo già corso diversi indoor. Ci furono un sacco di lamentele, ma per ciò che mi riguardava non la trovavo affatto difficile.
Quell’anno ero il Campione del Mondo 250 e tornare indietro nella 125 non fu proprio divertente. Se sei Campione della 250 vuoi dimostrare di essere il migliore sul pianeta in quella classe. Ma le strategie del team mi imposero di schierarmi nella ottavo di litro.
Me lo ricordo bene quel saltone in discesa, era piuttosto impressionante e un tantino complicato. Fu davvero spettacolare vedere su quel salto Steve Lamson.
McGrath dava l’idea di essere veramente veloce, c’erano un sacco di salti e panettoni, il suo pane quotidiano. Guidava alla grande e quel giorno diede ampiamente dimostrazione di essere il migliore in assoluto.
Per quanto riguarda il Team Belgio, le nostre chance si smontarono già subito dopo la prima curva della prima manche: io e Smets finimmo a terra e addio Nazioni. Salimmo sul terzo gradino del podio e, onestamente, per come si erano messe male le cose, ne fui assolutamente contento. McGrath era davvero incontenibile, prese tutti quanti a schiaffi e il Team USA meritò di vincere quel Nazioni”.
Roger DeCoster (team manager Team USA)
“Quelli dell’AMA vennero da me prima della gara chiedendomi se me la sentissi di dirigere il Team USA con McGrath, Lamson ed Emig. Naturalmente risposi di sì. Credo che quello del 1996 fu un gran team, dominammo la gara sin dall’inizio, ma nell’86 avevamo stracciato tutti. In ogni caso, ritengo che il team del 1996 dovrebbe essere considerato alla stessa stregua di quello di dieci anni prima. Forse quello dell’86 fu un team più spumeggiante: Johnson, O’Mara e Bailey scioccarono il mondo intero”.
Mike Gosselaar (meccanico Steve Lamson)
“Jerez fu un posto speciale dove correre un Nazioni. Un circuito che ha fatto la storia delle corse a motori. In qualsiasi ristorante della zona c’erano appese foto autografate dei grandi del passato. Tutt’attorno al circuito non si faceva altro che respirare l’aria delle gare.
Quell’anno io e Skip Norfolk – il meccanico di McGrath – girammo per tutti gli Stati Uniti con un furgone. Eravamo l’ultimo team factory che si muoveva per le strade del Paese ancora in quel modo e, ciò nonostante, i nostri piloti le stavano dando a tutti. Fu davvero un anno grandioso, il 1996, e vincere il Nazioni in Spagna la ciliegina sulla torta.
L’anno prima al Nazioni, Sebastian Tortelli aveva battuto Lamson nella 125. Onestamente non sapevamo chi fosse Tortelli. Quell’anno vestiva abbigliamento Oxbow e ricordo Lamson dire: ‘cavoli, quel pilota ha su un pigiama. Quello lì mi sta battendo con addosso un pigiama’. Quindi, l’anno dopo in Spagna, Lamson volle prendersi la rivincita e lo fece in maniera schiacciante.
Nessuno diede credito a Lamson, ma nella 125 Steve dimostrò di essere il più forte. Non ricordo quanti Campioni erano schierati nella prima manche, e lui su una ottavo di litro di ammazzò tutti.
Johnny O’Mara è un mio vecchio amico e fu fantastico ciò che realizzò nell’86 a Maggiora, ma nessuno riconosce a Lamson il merito della sua grande impresa.
Il Nazioni in Spagna fu sottovalutato? Credo di sì. Tutti si sono dimenticati di quella gara e non mi spiego perché. Fu un giorno straordinario per gli Stati Uniti e la gente ne fu totalmente entusiasta. Davvero un giorno speciale”.
Skip Norfolk (meccanico Jeremy McGrath)
“Che pista quella di Jarez. Magnifica. Divertente, piena di salti, larga, grande, con un terreno spettacolare. Non c’era un punto criticabile. Onestamente ci stupirono tutti quei salti, fu per noi una piacevole sorpresa. Scherzando, si diceva che su quella pista avremmo potuto prendere… un po’ d’aria.
Jeremy quel giorno era davvero sicuro di sé, più di quanto si possa immaginare. Non ebbe dubbi sul risultato, sentiva chiaramente di poter battere chiunque.
Alla prima manche 125/500 il grande punto di domanda fu cosa avrebbe fatto Tortelli. In Europa era il Campione della 125. E cosa avrebbe fatto Lamson? Anche lui era pur sempre il Campione della 125 a casa sua. Beh, una volta sceso il cancelletto, Lamson lo incenerì. A mio avviso la performance di Lamson fu assolutamente all’altezza di quella di O’Mara dell’86, ma purtroppo a tutt’oggi non gli sono stati riconosciuti i grandi meriti di quella impresa.
Il Team USA del ’96 fu forte quanto quello di dieci anni prima? Una parte di me direbbe di no, probabilmente perché nell’86 fu la prima vera grande impresa degli Stati Uniti. Quello che realizzammo a Jerez venne dopo. Dipende da che lato la si guardi.
A fine gara Jeremy aveva il sorriso da parte a parte. Le avevamo date a tutti, come non poter essere felici al riguardo? Il pubblico fu fantastico, il tempo una meraviglia e la pista eccezionale. Fu un’impresa epica”.
Marnicq Bervoets (1996 250cc Vice-World Champion)
“Noi del Mondiale non eravamo abituati a correre su piste come quella di Jerez in stile Supercross, ma una volta provata mi andava bene, mi piaceva.
Tra me e Stefan quell’anno non correva buon sangue, ci eravamo confrontati duramente per tutta la stagione. Ero ancora arrabbiato per aver perso il Mondiale 250 per pochi punti. Ciò nonostante, però, volevo fare una bella gara, soprattutto per me stesso.
Aspettavo gli americani con impazienza, come un ragazzino, non vedevo l’ora di correrci contro. Sapevo che erano forti, ma se non avessi avuto un certo timore reverenziale, credo che in Spagna avrei potuto vincere. Non ci fu tutta questa differenza di velocità. Purtroppo, mi ero fatto impressionare come un bambino dalla loro fama, per noi europei erano delle stelle e credo che questo abbia un po’ influenzato le mie possibilità. Aver avuto troppo rispetto per gli americani fu solo colpa mia”.
Sebastien Tortelli (1996 125cc World Champion)
“Nei primi giri di gara1 125/500 Lamson prese velocemente un vantaggio di 4-5 secondi su di me. Per tutta la gara provai a chiudere il gap fra di noi, il problema era non commettere errori. Alla fine, gli sono arrivato molto vicino, con un paio di giri in più sono convinto che avrei avuto la chance di passarlo. Purtroppo, è andata così. Lamson era davvero molto veloce, voleva vincere a tutti i costi. Come lo volevo anch’io. A volte si vince e a volte si perde.
Volevo batterlo come l’anno prima. Mi sentivo più forte e più veloce del ’95. Ma allo stesso modo lo era anche lui. Purtroppo, rimasi coinvolto in una caduta e non ebbi il tempo necessario per fare la gara con lui. Tutto l’anno non feci che pensare al giorno in cui ci saremmo incontrati di nuovo. Quel pensiero mi motivò per tutta la stagione Mondiale, pensavo di essere un po’ più veloce di Lamson, ma quel giorno fu lui il migliore”.
(Images Edoardo Pacini)