SUZUKI RM 125 1985 ALAIN LEJEUNE
di Edoardo Pacini
Quell’anno Suzuki non corre ufficialmente la stagione iridata. O meglio, prepara ed invia in Europa delle RM 125 speciali pur senza muovere i camion… Vuol dire che la moto in gara al Campionato del Mondo di Motocross con Alain Lejeune è una di quelle “buone” come si diceva ai tempi per intendere una moto “ufficiale”, ma la squadra allestita per il pilota belga non è diretta emanazione della Casa giapponese, bensì supportata da Hermann Kurz, al tempo distributore delle “gialle” cross in Germania.
Corsi e ricorsi. Strategie che cambiano in relazione ad esigenza di mercato, all’avvicendarsi di manager, alle dinamiche aziendali. I costruttori sostengono un programma oppure ne stanno fuori. È successo a tutti in epoche diverse.
Nelle stagioni in cui Suzuki non schiera ufficialmente le proprie moto, l’intraprendente imprenditore tedesco diventa il riferimento nel circus mondiale. Hermann Kurz ha un rapporto stretto con la Casa Madre e gestisce delle RM “buone” che riceve dal Giappone o che decide di realizzare in Germania dopo aver acquistato pezzi speciali dal reparto corse di Hamamatsu.
La creatività e l’intraprendenza del team manager di lingua tedesca è evidente e si concretizza in varie maniere: sue le Suzuki “carenate” della seconda metà degli Anni ’80; sue le Suzuki RM replica delle moto ufficiali, suoi molti pezzi speciali prodotti inspirandosi a quanto visto sulle moto “factory” negli anni. Con le moto preparate in Germania corrono tra gli altri Beirer (sì, proprio lui…) Jasinski e il sudafricano Dugmore.
La moto di queste pagine è invece la 125 utilizzata dallo sfortunato Alain Lejeune nel Mondiale del 1985, anno in cui a laurearsi campioni furono Vehkonen e la sua Cagiva.
Il belga comincia a correre a 14 anni. Nel ‘78 è campione junior 250, nell’82 vince la Coppa delle Nazioni 125. Nel’84 è quarto nel Mondiale. Un anno dopo con il Team Kurz vince il titolo nazionale in Germania. Nell’89, solo 28enne, Lejeune si toglie la vita.
Con questa RM, nel Gran Premio di Francia, Lejeune vinse gara-1 e si ritirò nella seconda frazione per una foratura. In un campionato a luci ed ombre, quella fu la sua miglior prestazione nonostante la battuta d’arresto.
La Suzuki 125 di Lejeune introduce concetti nuovi che caratterizzeranno le RM clienti della stagione successiva: model year ‘86. Telaio, motore e gran parte delle sovrastrutture non sono intercambiabili con quelle in uso sulle RM standard commercializzate nel 1985.
La moto del pilota belga ha telaio tutto nuovo nella geometria e nel disegno. L’intervento è finalizzato a rivoluzionare la sospensione posteriore. Suzuki continua a chiamarlo Full Floater, ma la 125 ufficiale perde le due leve che spingono il bilanciere posto sotto la sella per adottare un cinematismo che si sviluppa tutto nella parte inferiore alla traversa del forcellone.
L’ammortizzatore viene sollecitato da un cinematismo progressivo. Il Full Floater, così come lo avevamo conosciuto fino a quel momento, non si rivedrà più sulle Suzuki da cross. Il telaio non ha ancora l’archetto posteriore scomponibile. Il nuovo posizionamento dell’ammortizzatore e l’assenza del biellismo lasciano posto ad una cassa filtro dallo sviluppo decisamente più convenzionale.
L’ammortizzatore è prodotto da Kayaba e, oltre ad avere la possibilità di regolare il precarico molla, ha il vaso d’espansione ricavato dal pieno con vite che regola il freno idraulico. Dello stesso fornitore la forcella: una convenzionale con aste da 43 mm di diametro. I tappi superiori hanno la classica vite di sfiato e una ghiera che regola il precarico molla.
Le piastre sono realizzate in magnesio (la superiore) ed ergal quella inferiore. Nel corso della stagione Alain Lejeune utilizza in più di una occasione anche una forcella White Power 4054 a schema rovesciato.
Il forcellone è un mix di pezzi assemblati a mano. I due bracci di forza hanno sezione variabile e sono messi in relazione da uno scatolato con generose saldature. La cruna è in fibra di carbonio prodotta in autoclave, i pattini passa catena sono già in Vulkollan (e non in nylon), un materiale molto resistente allo stress ma dal basso coefficiente d’attrito.
I mozzi sono prodotti in magnesio. L’anteriore funge da supporto al disco freno su cui interviene la pinza monopistone sempre realizzata in carbonio. Dietro l’impianto resta il classico a tamburo monocamma comandato a cavo.
Il motore arriva dal reparto corse Suzuki, la sua esclusività è sottolineata dal materiale utilizzato per realizzare carter centrali e gruppo termico. La porosità e la mancanza di precisione di alcuni accoppiamenti sono indizi precisi: fusioni in terra e magnesio. Il cambio è a sei marce; la frizione è un capolavoro fatto a fresa. Cestello e campana sono ricavati dal pieno al pari dell’albero motore: un’opera d’arte.
Il motore (54 x 54,5 mm le misure vitali) ha valvola cilindrica che parzializza la luce di scarico e testa con camera di risonanza dallo sviluppo decisamente più contenuto rispetto a quanto si vedrà sulle moto di produzione dell’anno successivo. Il cilindro ha canna in ghisa, l’aspirazione è regolata da lamelle nel carter. Il carburatore è Mikuni con tubo Venturi da 36 mm. L’espansione è fatta a mano e si completa con un lungo silenziatore in alluminio.
(Images Davide Messora)